Dalla terrazza (1960)

Melodramma molto convenzionale in stile Hollywood, sorretto dalle ottime prove degli attori, che vede ancora una volta insieme Newman e gentile signora, ma questa volta in una storia dai contorni tragici. Non che La lunga estate calda fosse proprio una commedia, ma i toni erano alleggeriti da una certa ironia, che qui è assente. Anche se il film enfatizza in particolare la tensione del conflitto amoroso tra i personaggi, la vera essenza della storia è il mutamento dei valori nella società americana, rappresentato dal conflitto tra la vecchia generazione di un tempo, che misurava il successo solo dal conto in banca e dalla posizione sociale, e le nuove generazioni che privilegiano valori come sentimenti e integrità. Temi che erano già stati al centro de I segreti di Filadelfia, interpretato sempre da Paul Newman l’anno precedente.

Alfred, figlio di un ricco industriale dell’acciaio, torna dalla guerra e trova la famiglia annientata: la madre si è data all’alcool dopo la morte dell’altro figlio e il padre, con cui è sempre stato in pessimi rapporti, non fa segreto che avrebbe preferito fosse morto lui al posto del fratello. Una tale accoglienza lo porta a rifiutare l’eredità paterna e a decidere di mettersi in proprio, insieme a un compagno di università. Il padre lo deride per questa sua decisione e, durante un litigio, è colpito da un infarto. E siamo solo all’inizio.

Liberato dall’influenza schiacciante e anaffettiva del padre, Alfred si unisce al suo ricco amico per progettare aerei e sposa l’ambiziosa Mary di cui è follemente innamorato. Ma le cose non vanno come previsto. Il settore aereonautico sembra vacillare, e la vita coniugale si fa sempre più dura a causa delle ristrettezze economiche a cui la moglie non è abituata. Tuttavia il destino dà una mano ad Alfred, quando trova una prestigiosa partnership in un ricco finanziere che gli offre un nuovo lavoro, ottimamente remunerato. Ma mentre lui è spesso lontano da casa per seguire il lavoro, che procede sempre meglio, la deliziosa moglie si annoia, e il matrimonio va in crisi.

Dunque il successo economico rovinerà la vita di Alfred? No, perché si salverà in tempo, scoprendo il significato del vero amore. Ho riassunto ai minimi termini un dramma che si prolunga ben oltre le due ore, e ho tralasciato tradimenti e ricatti per non svelare proprio tutto, ma è chiaro che si tratta di una storia melodrammatica e stereotipata, di quelle che il pubblico di allora adorava. Un film di pura evasione, commerciale e convenzionale, basato su una serie di luoghi comuni che non riservano particolari sorprese: l’eroe in conflitto a cui manca l’affetto paterno, il padre freddo, distante e dispotico, la madre devastata dall’alcool e adultera, la moglie amante del denaro e sessualmente inquieta, la giovane ragazza pura e innocente, con un cuore abbastanza grande da sacrificarsi per amore. Direi che non manca nulla.

La regia, non a caso, è affidata a Mark Robson che tre anni prima aveva sbancato i botteghini con I peccatori di Peyton, altra storia di sesso e conflitti sociali, ambientata nella piccola provincia americana. Quello che eleva il film al di sopra di altri prodotti simili, è la classe degli interpreti. Qui la coppia Newman-Woodward esce dal consueto cliché che li ha sempre visti protagonisti di schermaglie amorose, divertenti e persino scanzonate a volte, ma immancabilmente coronate dal lieto fine.

Questa volta, credo la sola nella loro carriera, i due attori mettono l’indiscussa chimica che li unisce al servizio di un dramma in cui gelosia, ambizione, lussuria e tradimenti reciproci non possono che distruggere l’amore. Perciò il lieto fine c’è, ma non per loro. La Woodward in particolare si mette in luce nel disegnare tutte le sfumature del suo personaggio, una donna capricciosa e superficiale, che cede gradatamente alla noia, e finisce per tradire un marito che pur amandola, è costretto a trascurarla.

E il messaggio di questa parabola moderna contro il materialismo della società americana è proprio questo: il protagonista lotta per raggiungere il benessere economico, anche a costo di sacrificare gli affetti, ma quando finalmente arriva al successo, sacrifica tutto in nome dei sentimenti. Brava anche la giovane Ina Balin, che nella parte della giovane rivale fu candidata al Golden Globe. Ma il vero tocco di classe è l’interpretazione di Myrna Loy, nel ruolo della madre alcolizzata di Newman: compare solo all’inizio in poche scene, ma lascia il segno, come anche Leon Ames nei panni del terribile padre.

Anche se la sceneggiatura non è sempre coerente e la regia è abbastanza piatta, il film è un viaggio avvincente nei meandri di una società malata, intrisa di pregiudizi e falso moralismo; è una storia dai colori forti, ben servita da attori che è sempre un piacere guardare, accompagnati da una splendida colonna sonora di Bernstein.
Se vi piace il menù classico, può essere un gradevole intrattenimento.

23 pensieri riguardo “Dalla terrazza (1960)

  1. Anche in questo film, che però non mi pare di aver visto, ci sono alcuni elementi che ricordano La gatta sul tetto che scotta, che d’altra parte è di soli due anni precedente, anche se la qualità del film era migliore: i rapporti travagliati col padre, dispotico e malato (si fa per dire), un fratello morto (là c’era l’amico)… La madre, invece, sembrerebbe completamente diversa, così come la moglie.

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    1. La gatta sul tetto che scotta era di Tennessee Williams e si vede. Certi paralleli ci sono sicuramente, ma le connessioni tra i personaggi sono più approfondite, anche se la censura cinematografica aveva soppresso le tematiche più scabrose. Dalla terrazza invece è tratto da un romanzo di John O’Hara, che scriveva per lo più storie di provincia, basate sui conflitti di classe e ambizioni frustrate. La fonte è completamente diversa, più superficiale. però, come dici tu, le somiglianze ci sono, anche perché, se vogliamo, le storie familiari (conflitti con i genitori, gelosia tra fratelli, mogli sottomesse o alcolizzate) sono sempre quelle che girano.

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  2. un film indimenticabile anche perchè visto più volte. Per quel che ricordo l’interpretazione della Balin mi è rimasta impressa più del ruolo della Woodward e il cameo della Loy è notevole. Fa parte dei film praticamente inossidabili che si rivedono volentieri perchè la recitazione vale più degli effetti speciali

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    1. Sono film che restano impressi anche per le tematiche affrontate, e sicuramente per la recitazione. A me sinceramente il personaggio della Balin è sembrato un po’ monocolore, mentre la Woodward ha sottolineato la trasformazione del suo personaggio. Comunque tutti bravissimi, anche gli attori minori. Erano tutti grandi professionisti.

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    1. Penso che il cinema di una volta facesse sognare molto più di quello moderno, e anche gli attori erano visti come divi irraggiungibili, quasi dei miti. Ora invece è tutto molto meno magico, più realistico, e anche gli attori ci appaiono con tutti i loro difetti.

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