La gabbianella e il gatto (1998)

Il nostro amico Buio questo mese ci parla di un delizioso classico per l’infanzia, una fiaba che affronta tematiche “adulte” ma senza dimenticare il linguaggio con cui ci si rivolge al pubblico più giovane. Con un’animazione morbida e colorata che piacerà sicuramente ai bambini, anche quelli di 90 anni, La gabbianella e il gatto ha intenti didattici ed educativi preziosi, che nasconde abilmente dietro un linguaggio poetico, tra buoni sentimenti e canzoncine orecchiabili. Buona lettura!

I temi della diversità, dell’accettazione, della collaborazione e dell’ambientalismo condensati nel film italiano di maggior successo degli ultimi quarant’anni. Il sapiente animatore Enzo D’Alò, e lo scrittore Luis Sepúlveda, ci regalano una storia senza tempo, capace ancora oggi di riscontrare l’affetto del pubblico.

Germania, Amburgo: l’eterna lotta tra gatti e topi sembra non aver mai fine. La banda di Zorba, un gatto nero e bianco, cerca di contrastare quella del Grande Topo, tra attacchi, più o meno efficaci da ambo le parti. Nel frattempo, uno stormo di gabbiani sta migrando. Kengah, una giovane gabbiana in procinto di dare alla luce il suo primo uovo, rimane invischiata nel petrolio. Ormai allo stremo delle forze, viene trovata da Zorba. Malgrado i tentativi d’aiuto, Kengah non sopravvivrà alla tragedia, ma prima di morire farà promettere al gatto di prendersi cura del suo uovo, di non mangiarlo e di insegnare a volare al suo piccolo.

Nonostante le numerose perplessità di Zorba e le critiche di tutta la banda, il gatto terrà fede alla sua promessa proteggendo l’uovo fino alla sua schiusa e i suoi sforzi porteranno alla nascita di Fortunata, detta Fifì. Nel frattempo i topi vedono questo gesto come un segno di debolezza dei gatti, provando ad approfittarne.

Fortunata viene cresciuta circondata dall’amore e dalle premure di tutti i gatti, e ognuno le insegna le diverse abilità che le servono per diventare grande. Ma la gelosia di Pallino, il più piccolo della compagnia, spinge Fifì a scappare. I topi la rapiranno, ma l’intelligenza di Zorba e la collaborazione di tutta la banda riusciranno a salvarla dal Grande Topo.

Fortunata cresce, convinta che Zorba sia sua madre, ma sarà proprio la banda dei gatti a farle comprendere che dovrebbe essere fiera anche di essere una gabbiana. Sarà proprio il gruppo ad insegnarle a volare, ma per completare l’opera dovranno affidarsi a un essere umano e l’unica umana che conoscono, degna di fiducia, è Nina, la figlia di un poeta, una bambina dal cuore puro, non corrotto dalla cattiveria della sua specie.

Il lungometraggio è tratto dal libro di Sepúlveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, pubblicato appena due anni prima. Lo stesso autore compare nel film dando voce al Poeta. Il lungometraggio, capace di scorrere veloce, riesce a combinare momenti leggeri e di assoluta ilarità, con altri commoventi e significativi, abbracciando varie tematiche e feroci critiche sociali. La più importante è la critica alla “maledizione degli umani”, la macchia di petrolio che uccide Kengah e simboleggia la superficialità e l’avidità delle attività che gli esseri umani svolgono per puro profitto personale, infischiandosene dei terribili danni a tutte le creature, compresi gli stessi umani.

La diversità è un altro tema fondamentale della pellicola. Le differenze e i ruoli sociali, insieme alle aspettative, vengono ribaltati proprio dalla nascita di Fortunata, che non riesce a vedere differenze: considera Zorba la sua mamma, e tutta la banda la sua famiglia. Una banda che rappresenta la vera democrazia, dove nessuno è il capo, ma chiunque fa la sua parte e dà ciò che può al gruppo, contribuendo a “gestire la città”, e accettando Fifì, anche se non senza difficoltà, come il nuovo gatto. Tutto in netta contrapposizione con i topi, che sono una metafora della dittatura, col Grande Topo al comando e i suoi sudditi costretti a vivere nelle fogne, aggregati solamente dall’odio verso il diverso.

Anche la rivalità tra fratelli, un tema ancora spesso sottovalutato, è affrontato in maniera molto delicata e con un lieto fine non banale, in cui Pallino, oltre a comprendere il suo errore, si impegna in prima persona a ripararlo, accettando la nuova sorella adottiva.

Il regista napoletano, Enzo d’Alò, proveniente dall’esperienza televisiva, dopo il buon successo dell’adattamento de La Freccia Azzurra, decise di fare il salto di qualità. Il film è a tecnica mista, con scene animate tradizionalmente, alcune sequenze elaborate a mano e l’introduzione di elementi in CGI, all’epoca una vera rarità in Europa. Il lungometraggio venne realizzato dalla torinese La Lanterna Magica, storico studio d’animazione e multimediale italiano.

La sfida tridimensionale era ancora troppo acerba, perciò la produzione si affidò alla ben più esperta Pixibox, studio parigino molto più attivo a livello internazionale, avendo collaborato anche con la Disney. Oltre venti altri studi d’animazione europei vennero coinvolti nel processo di realizzazione, da Londra, passando per Barcellona, fino ad arrivare a Palermo.

La Gabbianella e il Gatto fu un vero successo commerciale, il film d’animazione italiano più visto ed esportato dai tempi di Vip – Mio fratello Superuomo, riuscendo a conquistare l’Europa e il mondo, vincendo diversi premi. Solo nello Stivale il film fu in grado di incassare oltre dodici miliardi di lire. Per venir incontro alle esigenze di esportazione, le animazioni vennero adattate al lip-sync in lingua inglese, anche per abbracciare la colonna sonora e le canzoni, curate dal compositore britannico David Rodhes.

Tra gli interpreti italiani spiccano su tutti Carlo Verdone, nel ruolo di Zorba, Antonio Albanese, nei panni del Grande Topo e Ivana Spagna nel cantato. Il resto del cast vocale, come da tradizione italiana, proviene dal mondo del doppiaggio.

La Gabbianella e il Gatto è un classico ancora attuale, che riesce tuttora a emozionare. Ci ricorda che possiamo evitare il male della maledizione degli umani, ora che il disastro ecologico è ormai fuori controllo, con le conseguenze che riguardano tutti noi. Lo stesso D’Alò, in un intervista rilasciata vent’anni dopo l’uscita, dichiarerà: “La gabbiana che muore, lasciando l’uovo a qualcun altro, non è molto diversa da un’imbarcazione di migranti che naufraga al largo”. Accettare e accogliere chi sembra non essere come noi, ci porterà una grande ricchezza interiore, imparando l’uno dall’altro.

Fallo per noi gatti, non abbiamo mai volato. Sii tu il primo gatto volante”

25 pensieri riguardo “La gabbianella e il gatto (1998)

  1. Per questo film non posso far altro che provare dei profondi sentimenti. Come hai ben detto, riesce a parlare di argomenti molto importanti e per nulla semplici ma lo fa con delicatezza. Ed è questo uno degli elementi per cui ho sempre amato D’Alò come regista. La capacità di parlare di questi argomenti con grande tatto e senza alcuna superficialità. I suoi film, anche quelli meno riusciti, non parlano ai bambini come se fossero degli sciocchi, li rispetta profondamente, e ciò porta anche gli adulti ad apprezzare queste sue opere e perfino a commuoversi (lo dico senza vergogna, ma il finale de La Gabbianella e il Gatto mi commuove ogni volta). Nonostante tutto considero Momo alla conquista del tempo il film migliore realizzato dal regista, ma La Gabbianella e il Gatto è uno dei suoi migliori ed è un film che merita di essere conosciuto e amato. Grazie mille per questa recensione!

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