Prima pagina (1974)

Wilder non era un amante dei remake, ma si convinse a trasporre per la terza volta il soggetto di un’opera teatrale del 1928, che aveva già prodotto due successi cinematografici, nel 1931 e nel 1940. L’argomento infatti gli stava a cuore, visto che lui stesso era stato giornalista prima di lavorare nel cinema, e la professione esercitava ancora una grande attrattiva su di lui. Mentre nel precedente L’asso nella manica Wilder aveva puntato l’attenzione sulla cronaca nera, criticandone ferocemente il cinismo e la mancanza di moralità, con Prima pagina ammorbidisce un po’ i toni, facendo una parodia del lato più sardonico del giornalismo, pur senza attenuare le critiche all’insensibilità della stampa nei confronti della sofferenza umana e della morte.

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Testimone d’accusa (1957)

Tratto da un racconto di Agatha Christie, a mio modesto avviso è uno dei migliori gialli che si siano mai visti al cinema e la stessa autrice britannica ripeteva che questo film era la migliore trasposizione cinematografica di un suo lavoro. L’intreccio è sicuramente sottile e intelligente come solo la regina del giallo sapeva fare, ma il film lo fa diventare un capolavoro, mescolando abilmente la trama noir con quella ironia british tanto cara alla Christie, che qui è sapientemente dosata dalla sceneggiatura perfetta, opera dello stesso Wilder, che firma anche la regia.

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Non per soldi… ma per denaro (1966)

Che Billy Wilder sia un grande regista lo si capisce anche dalla qualità dei suoi film minori e delle sue opere di fine carriera: questo è chiaramente un film minore, di molto inferiore rispetto a drammi come La fiamma del peccato o Viale del tramonto, e pellicole brillanti come L’appartamento o A qualcuno piace caldo, eppure resta una commedia divertente, meravigliosamente raffinata ed equilibrata.

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L’asso nella manica (1951)

È una delle migliori prove di attore di Kirk Douglas, anche se all’epoca non fu un successo al botteghino. Uno dei film che hanno fatto la storia del cinema, anche se non ebbe vita facile, per il crudo realismo degli argomenti trattati, e perché il regista, Billy Wilder, fu accusato di avere un atteggiamento cinico e fuorviante verso la stampa. Il protagonista è sicuramente uno dei personaggi più spregevoli interpretati da Douglas, che supplicò fino alla fine il regista di ammorbidirlo, per renderlo più umano, ma Wilder non volle acconsentire. E il film ci ha sicuramente guadagnato, diventando nel tempo un vero cult.

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La fiamma del peccato (1944)

Film straordinario, una chicca per i cinefili, ma apprezzabilissimo anche da chi non ama il genere. Si può tranquillamente definire come la vetta del noir anni ’40, e uno dei più belli della storia del cinema, insieme a Il grande sonno di Howard Hawks, del 1946, e a Viale del tramonto dello stesso Wilder, del 1950. La pellicola si avvale della magistrale regia di un Billy Wilder in gran forma, che qui arricchisce il suo stile inconfondibile con innovazioni tecniche, strutturali e narrative, che andrebbero studiate inquadratura per inquadratura, per poter essere apprezzate appieno. Ma La fiamma del peccato ha a suo favore anche la sceneggiatura scritta in collaborazione con Raymond Chandler, che riesce a trasformare un romanzo di James Cain, non certo eccezionale, in un autentico capolavoro.

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