Liberamente ispirato a nove racconti e una poesia di Raymond Carver, America oggi è un viaggio nella Los Angeles degli anni ’90, un affresco intimo in cui i destini contrastanti di 22 personaggi affrontano drammi, emozioni, piaceri, sorprese e pericoli della vita quotidiana. All’inizio del film, mentre scorrono i titoli di testa, uno strano balletto di elicotteri, che scarica un insetticida, ci informa che è in corso una guerra contro il moscerino della frutta. Nello stesso tempo, l’attenzione si concentra su alcuni personaggi che assistono a un concerto, ascoltano una cantante e guardano uno spettacolo televisivo. Quasi senza parole, attraverso un gioco di collegamenti visivi, Altman crea un legame tra questi volti che gradualmente diventeranno familiari e capiremo cosa li unisce seguendo le loro storie. Alla fine del film, è un terremoto che riunirà di nuovo i protagonisti.
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Full Metal Jacket (1987)
Kubrick non è nuovo alla condanna della guerra. Lo ha fatto in modo drammatico con Orizzonti di gloria, chiara denuncia dell’assurdità e degli abusi della guerra, e più avanti lo ha fatto con Il Dottor Stranamore, prendendo la strada dell’ironia grottesca in una commedia nera che diventa un incubo allucinante. Con Full metal jacket il regista fonde in parte i due registri, drammatico e ironico, riuscendo così a spiazzare ancor di più lo spettatore, e fa un ulteriore passo avanti nella sua posizione antimilitarista. Qui non c’è semplicemente la condanna della guerra nella sua assurdità, ma anche la denuncia delle conseguenze psichiche che essa ha sui soldati. Se in Orizzonti di gloria la prospettiva peggiore per i soldati era la perdita della vita, qui diventa qualcosa di ancora peggiore della morte fisica, e cioè la follia, la perdita di umanità, e la trasformazione dell’essere umano in macchina di morte.
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