Linea mortale (1990)

Oggi è un bel giorno per morire, così esordisce Nelson Wright, ambizioso studente di medicina, che sembra impaziente di sperimentare la morte. Ma non in maniera definitiva. Non è un aspirante suicida, ma uno scienziato (o almeno lui si ritiene tale), disposto a esplorare il mondo dell’aldilà per poi tornare a raccontarlo. Il tema del film è proprio la domanda che tutti prima o poi ci siamo fatti, credenti o non credenti: cosa succede quando moriamo? I racconti di chi si è trovato a oltrepassare quella soglia sono tutti abbastanza simili: il tunnel di luce, la sensazione di pace, e nessuna voglia di tornare indietro.

Lo sceneggiatore esordiente Peter Filardi ha preso questo tema intrigante come punto di partenza e ne ha fatto un thriller con sfumature horror, anche se molto più psicologiche che splatter. Nelson dunque è uno studente di medicina con un’idea da un milione di dollari. Perché non indurre chimicamente la morte, per poi rianimare dopo poco con un defibrillatore? Niente di più semplice per cinque studenti di medicina che hanno le competenze e gli strumenti per giocare con la morte. Così Nelson convince quattro dei suoi amici, tutti studenti, un po’ incoscienti e molto arroganti, a portare avanti questo folle piano. Un piano così assurdo che potrebbe funzionare: la speranza è di trovare la risposta definitiva su cosa succede dopo la morte.

Dopo il primo esperimento su Nelson, che sembra riuscito senza problemi, anche gli altri compagni vogliono provare a turno l’ebrezza dell’esperienza, allungando di pochi secondi i tempi di sospensione dalla vita, fino al limite della morte cerebrale. L’unico che si rifiuta di partecipare, se non come osservatore, è Randy, il più fifone, o forse l’unico saggio del gruppo. All’inizio il timore più grande è che non riescano a tornare dall’aldilà, che non si faccia in tempo a riportarli in vita o che qualcosa non funzioni durante l’esperimento. Man mano che il film procede, però, ci si rende conto che il problema è un altro, molto più difficile da risolvere.

Il vero problema non è se torneranno, ma cosa porteranno con sé dall’aldilà. Pare infatti che ognuno di loro abbia un passato traumatico da dimenticare, che si sia macchiato di colpe anche gravi, per le quali ora viene presentato il conto. Il viaggio nell’aldilà risveglia la loro coscienza, i sensi di colpa sopiti, per avvenimenti della loro infanzia o adolescenza che avevano rimosso. Per questo saranno perseguitati da allucinazioni e visioni terrificanti nei giorni successivi agli esperimenti. Non è né una tipica storia di fantasmi, né il classico horror in cui si scatena una reazione demoniaca. È piuttosto uno studio profondamente filosofico ed esistenziale sugli effetti del passato sul presente, e sulla possibilità che i peccati possano mai essere veramente perdonati.

Con l’aiuto di una colonna sonora inquietante e di un’abile miscela di ombre e luci Schumacher crea un’atmosfera di paura e curiosità fin dall’inizio del film. La vicenda è ambientata in autunno, nel periodo di Halloween, e la pellicola è stata girata a Chicago e dintorni, quindi è un film dall’aspetto piuttosto freddo e dai colori plumbei che bene si adattano all’argomento. Gli effetti speciali creano suggestioni fantasiose che contribuiscono a rendere intrigante la narrazione, così come il fatto che gli esperimenti vengano eseguiti in una specie di chiesa abbandonata, con qualcosa di gotico e religioso insieme, che certamente sarebbe piaciuta a Dan Brown come teatro di una storia tra ateismo e fede. Il ritmo è incalzante e di sicuro la visione non annoia.

Le sequenze più interessanti sono ovviamente i sogni di morte che rappresentano l’aldilà: iniziano in modo surreale e molto ordinato, ma diventano gradatamente sempre più contorti e si trasformano in incubi, poiché i soggetti sono costretti ad affrontare i demoni del loro passato. Bambini che hanno bullizzato da piccoli o donne che hanno trattato con crudeltà.  Così il viaggio di questi novelli Frankenstein, che giocano a fare Dio su se stessi, li porta non solo a sperimentare cosa significa essere morti, ma anche a scoprire segreti del loro passato, inclusi traumi infantili di cui non avevano mai compreso la spiegazione. In questo modo Rachel, ad esempio, riuscirà a risolvere il mistero del suicidio del padre.

La sceneggiatura caratterizza tutti i personaggi in maniera approfondita e ben differenziata: ognuno di loro ha i propri motivi per voler partecipare all’esperimento. Nelson spera che il risultato gli dia la celebrità, mentre Rachel, che è la più intelligente e preparata, vede nell’esperimento un modo di provare che la morte non è necessariamente qualcosa di negativo; il ribelle David, che si dichiara ateo, cerca una prova delle sue convinzioni, mentre Joe è forse quello più mosso da una reale curiosità scientifica; Randy, invece, accetta di assistere gli amici, ma non vuole partecipare in prima persona.

Kiefer Sutherland, Julia Roberts, Kevin Bacon, William Baldwin e Oliver Platt sono gli interpreti epici di questo film corale, in cui ognuno dà il suo contributo a quel senso di eccesso che anima tutta la storia. Per essere scienziati, sono estremamente competitivi nella loro ricerca, e dimenticano ben presto la collaborazione per sfidarsi reciprocamente, cercando di superarsi a vicenda, fino a rischiare inutilmente la vita. Non sembra che sia in gioco il progresso della scienza, quanto la soddisfazione del loro ego, e a questo si aggiunge la rivalità aggressiva dei personaggi maschili, che si contendono a vario titolo l’unica donna del gruppo. L’unico che si sottrae a queste dinamiche da maschio alfa è Randy, che sembra il solo disinteressato alla bella Rachel, ed è anche l’unico che si rifiuta di sottoporsi all’esperimento fatale. È la voce della ragione, che si tiene in disparte, limitandosi a fare la morale, e a dispensare battute che alleggeriscono il tono drammatico del film.

Certo, data la premessa originale e intrigante, avrebbe potuto esserci molto di più. Ma se cercate risposte sull’aldilà, qui non ne troverete. Del resto tutto il film è costellato di segnali e simboli di divieto d’accesso: il messaggio chiaro è che certe soglie non vanno oltrepassate se non in un’unica direzione. E questi pionieri narcisisti che sfidano la morte cercando risposte, alla fine scoprono solo questioni personali irrisolte. È un po’ banale come soluzione alle domande sollevate dal film, ma non si può certo pretendere che Hollywood risolva un enigma su cui religione e filosofia si interrogano da millenni.   

21 pensieri riguardo “Linea mortale (1990)

    1. In realtà l’aldilà c’entra poco, è più un percorso personale che ognuno fa col proprio passato, solo che la causa scatenante è l’esperimento di morte indotta. E’ un film cupo, ma non lo definirei un horror. Invece il remake che hanno fatto di recente era molto più horror che altro.

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  1. La storia è sempre stata molto affascinante e ottima e sono riusciti a creare un film pieno di tensione e che con il tempo è diventato un vero e proprio cult. Però, nonostante lo abbia apprezzato molto, mi è sempre dispiaciuto che non abbiano voluto approfondire certe tematiche profonde sull’aldilà e altre questione perché non avrebbero rallentato il film ma valorizzato ancor di più. Per il resto è un’opera ottima.

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    1. Anche a me è dispiaciuto, perché andai a vederlo non dico sperando in una qualche risposta, ma almeno in una tesi, un po’ come Al di là dei sogni o Adorabili resti. Comunque nel suo genere, ho apprezzato che non scadesse nello splatter.

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