Il fuggitivo (1993)

Il film prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1954: un medico, accusato e condannato per l’omicidio della moglie, restò in carcere 10 anni prima di essere scagionato dalla scoperta del vero colpevole. Da questa storia fu tratta una popolare serie televisiva degli anni ‘60, in cui il dottor Kimble andava alla ricerca dell’assassino di sua moglie per 120 episodi. Non l’ho vista, perciò non so dire se la trasposizione cinematografica sia migliore o peggiore, ma Il fuggitivo è sicuramente un ottimo thriller, ben scritto e ben interpretato, uno di quei film di cui oggi si sente molto la mancanza. In mezzo a tanti supereroi in tutina colorata, Kimble è un eroe molto umano, che cerca di lottare contro una giustizia che non guarda in faccia nessuno, e non è interessata a discutere di innocenza o colpevolezza.

Un rinomato chirurgo, rientrando a casa, trova la moglie assassinata, ma non riesce a fermare il colpevole che fugge senza lasciare tracce. Poiché non ci sono segni d’effrazione e il medico è l’unico testimone del delitto, oltre che l’unico erede della ricchissima moglie, viene accusato e condannato a morte per l’omicidio. Durante il trasporto in carcere, il mezzo su cui i detenuti viaggiano ha un incidente, e il medico riesce a scappare. Sulle sue tracce si mette immediatamente uno spietato sceriffo federale, che intende riprendere al più presto il fuggitivo.

Durante le ricerche, tuttavia, si convince gradatamente dell’onestà del medico, e forse anche della sua innocenza, mentre il dottore, sempre rimanendo nascosto, indaga per cercare di capire chi e perché ha ucciso la moglie. Scoprirà così che in realtà non era la moglie la vittima predestinata, e che il mandante dell’omicidio è molto più vicino di quanto potesse immaginare. La storia chiaramente lascia un po’ a desiderare in termini di credibilità, ma non è così importante, perché il film punta soprattutto sulla tensione e sull’azione.

Il ritmo è elevato fin dall’inizio, perché la prima scena d’azione si presenta dopo appena 10 minuti, e si può dire che da quel momento la tensione si accumula gradualmente senza più pause. Le indagini sono abbastanza sbrigative e il processo termina con una condanna scontata quanto evidentemente ingiusta: lo spettatore sa che il protagonista è innocente, perché ha assistito al delitto, quindi la pellicola non perde tempo su questo. In realtà la prima parte della storia serve solo a farci provare simpatia per Kimble e ad aumentare la suspense quando lo vedremo scappare per salvarsi la vita.

Il film vero e proprio parte dal momento in cui il dottore recupera accidentalmente la libertà, e si trova a lottare su due fronti: da una parte cercando di non farsi catturare, dall’altra indagando per scoprire chi ha ucciso sua moglie. L’introduzione del personaggio dell’antagonista, lo sceriffo che cerca di riprenderlo, porta la tensione a un livello superiore, anche perché lo spettatore capisce subito che al poliziotto interessa soltanto catturarlo, senza farsi domande sulla sua reale colpevolezza. Del resto questo è il suo lavoro, non è un antagonista che agisce per malvagità o per un accanimento personale nei confronti di Kimble, e in qualche modo si attira anche lui la simpatia dello spettatore.

Inevitabilmente tifiamo per l’innocente in fuga, speriamo che riesca a scappare e soprattutto a provare la sua innocenza, ma in fondo non possiamo fare a meno di simpatizzare anche con lo sceriffo Gerard, perché è un brav’uomo che sta solo facendo il suo lavoro. Nelle mani sicure del regista Andrew Davis, la storia abbastanza semplice diventa un esempio di grande tensione e un film avvincente. Sia nelle scene su larga scala che nei piccoli scontri diretti tra Kimble e il suo inseguitore, la suspense è talmente sostenuta e prolungata da essere quasi insopportabile. Il gioco si sviluppa rapidamente in un duello personale tra questi due personaggi. Caratterialmente simili, ma su fronti opposti, ingaggiano un duello psicologico a distanza. Entrambi hanno un obiettivo e sono determinati a raggiungerlo.

Il film scorre veloce, ed è un bene perché non ci lascia il tempo di pensare a certe ingenuità della trama e a certe incongruenze decisamente poco realistiche, ma dopo tutto è soltanto un film e, anche se in fondo sappiamo che finirà tutto bene, Davis riesce davvero a mantenere viva la tensione fino alla fine. La recitazione aiuta molto la credibilità, perché entrambi gli attori sono grandi professionisti. Harrison Ford si cala bene nel ruolo, passando dal dolore per la perdita della moglie all’angoscia di vedersi imputato e poi condannato per qualcosa che non ha fatto, ed è perfetto anche come fuggitivo, spaesato e confuso, perché dopotutto è un uomo che si trova in una situazione per lui totalmente nuova, è un innocente costretto a scappare come un colpevole.  Praticamente gestisce alla perfezione tutta la gamma di emozioni del suo ruolo.

Anche Tommy Lee Jones disegna abilmente lo sviluppo del suo personaggio, che parte come uno sceriffo duro e spietato, un uomo abituato ad essere analitico e razionale, senza farsi troppe domande, che ha come sola missione la cattura del fuggitivo, ma lentamente inizia a rispettare la sua preda e a capire che non è un criminale. Qua e là inserisce qualche battuta che forse non è molto credibile, vista la situazione, ma che alleggerisce un po’ la tensione. Le scene d’azione sono gestite magnificamente, sia negli inseguimenti iniziali nei boschi, sia sullo sfondo vivace della città di Chicago: tra le altre vanno sicuramente ricordate l’impressionante sequenza del deragliamento del treno, il salto dalla diga, e l’inseguimento durante la parata di San Patrizio.

Un thriller hollywoodiano a tutti gli effetti, che rapisce con il suo ritmo incessante e una suspense ben costruita: adrenalinico alla prima visione, ma gradevole anche da rivedere. In più, in un cameo, c’è una giovane Julianne Moore, che si vede sempre volentieri.

10 pensieri riguardo “Il fuggitivo (1993)

  1. E’ stranamente uno dei miei film preferiti.. non proprio il mio genere, ma non me lo perdo mai, perché mi piace sul serio. Ti tiene incollato fino all’ultimo, ti coinvolge, ti prende.. è davvero fatto bene e ti senti molto vicino ai personaggi.

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