American Beauty (1999)

Elegantemente grandioso, ma anche intimo, è un ritratto deprimente ma realistico del fallimento del sogno americano. Una galleria di personaggi brillantemente rappresentati nei lati positivi e in quelli negativi, nelle piccole grandi follie e soprattutto nei propri sogni infranti. Il sentimento che predomina in questo specchio angosciante della società americana è un infelicità diffusa, di cui ognuno è principale responsabile, nonostante trovi più comodo addossare la colpa a qualcun altro.

Il quarantaduenne Lester Burnham apre il film raccontandoci la storia della sua vita ordinaria e tranquilla, ma sempre più noiosa e invivibile, e attira la nostra attenzione nei primi due minuti del film rivelandoci che sarà morto tra meno di un anno. Si presenta come un perdente, nel lavoro come negli affetti. È sposato con Carolyn, tipica moglie nevrotica e insopportabile, anche lei alle prese con fallimenti professionali che nel tempo hanno finito per inaridirla. Hanno una sola figlia, Jane, che come tutte le adolescenti è arrabbiata, insicura, confusa e si sente in imbarazzo per i genitori.

Il matrimonio di Lester è fallito da molto tempo, ha un lavoro mediocre che non lo soddisfa più e anche la figlia non è certo una consolazione. Trascina la sua vita nell’inerzia della routine, fino a quando conosce e si innamora di Angela, una delle amiche della figlia. Comincia a fantasticare su di lei e questo dà un nuovo impulso alla sua vita, soprattutto quando si illude di essere ricambiato. La ragazza, infatti, gioca con lui, divertendosi a provocarlo, ma senza alcuna intenzione di andare fino in fondo.

Intorno a questi, che sono i personaggi principali, ruotano altre figure complementari, come i vicini di casa e il collega della moglie, che ne diventerà l’amante, e uno dei pregi del film è che sono tutte tratteggiate con cura, non semplicemente abbozzate. In questo senso la pellicola ricorda Happiness di Todd Solondz, come satira del perbenismo e dell’ipocrisia della società americana, ma lo sguardo di Mendes è un po’ meno cinico. Se il film si fosse fermato alla storiella tra Lester e Angela, e ai patetici tentativi di conquista di questo eroe tragicomico alle prese con la crisi di mezz’età, sarebbe stato un film mediocre. Invece la lotta di Lester viene utilizzata da Sam Mendes per darci una visione realistica della natura umana a 360 gradi.

Tutti i personaggi hanno la loro personale infelicità e la differenza tra bene e male non è sempre chiara. L’ambiziosa moglie di Lester conduce una doppia vita per superare il fallimento del suo matrimonio; il vicino aggressivo e omofobo sembra avere qualche segreto da nascondere e la frivola Angela non è altro che un’adolescente insicura, che racconta storie per rendersi interessante. Tutto questo viene alla luce attraverso il personaggio di Lester, che rimane centrale.

Uno dei pregi maggiori del film è che la trama riesce a distaccarsi senza difficoltà da tutte le proiezioni che l’inizio sembrerebbe innescare. Non è la storia di un’adolescente che si innamora di un uomo che potrebbe essere suo padre, e non è neppure una storia di seduzione in cui un adulto si approfitta della cotta di un’adolescente. L’introduzione serve solo da innesco per tutti gli eventi che verranno dopo e lo studio dei personaggi si rivela molto più approfondito e originale di quanto ci si poteva aspettare. La trama, infatti, utilizza la vita del protagonista come carburante per portare avanti il ​​film e la profondità del personaggio di Lester regala interiorità anche ai personaggi secondari, che altrimenti sarebbero banali e stereotipati.

È il magnifico lavoro di Kevin Spacey che dà tridimensionalità a figure altrimenti superficiali. Annette Bening, nei panni della moglie, è brava ma un po’ troppo sopra le righe, troppo caricaturale per un film come questo. La rabbia sommessa di Chris Cooper, nel ruolo del vicino, è allo stesso tempo minacciosa e tragica, ma niente che non si sia già visto altrove; solo quando si confronta con Lester crea una svolta originale che ci regala il finale a sorpresa. I tre ragazzi più giovani sono delle piacevoli novità, ma anch’essi incarnano figure abbastanza generiche, a cui solo il rapporto con Lester dà una nuova vita.

Scegliendo Kevin Spacey il regista sapeva certamente che avrebbe dato lustro a tutto il resto del cast, ma forse non si aspettava che avrebbe salvato il suo film dalla mediocrità: in un mare di personaggi stereotipati e poco interessanti, Lester si distingue come un’eccezione. E anche se può sembrare banale il suo innamoramento per un’adolescente provocante e apparentemente disinibita, il modo in cui Spacey ritrae lo sviluppo del personaggio non ha niente di banale. Mendes dirige il tutto con inquadrature ricercate, esaltate da un montaggio dinamico e una fotografia curatissima, fondendo insieme in maniera originale temi e spunti già conosciuti.

L’espediente del protagonista che racconta i suoi ultimi giorni di vita ricorda Viale del tramonto, mentre il rapporto tra Lester e Angela riprende il tema di Lolita e nel personaggio del ragazzo che ama spiare i vicini con la cinepresa c’è un chiaro riferimento a La finestra sul cortile. Da ultimo, l’ironia delle fantasie di Lester, meravigliosamente rappresentate, ricorda Il grande Lebowski. E anche il twist finale spiazza lo spettatore per originalità. Nonostante la morte di Lester fosse annunciata fin dall’inizio, il film ci dà più di un possibile sospetto e un paio di pistole che fanno bella mostra di sé in mano ai vari personaggi. Ma alla fine lo sparo che uccide Lester coglie tutti di sorpresa, anche gli stessi che volevano liberarsi di lui.

In definitiva American Beauty è una storia d’amore e di redenzione, un ritratto severo, ma allo stesso tempo divertente, del perbenismo e dell’ipocrisia della società moderna, e una riflessione amara su cosa si nasconde dietro la cortina di falsità della borghesia americana.

25 pensieri riguardo “American Beauty (1999)

  1. “American Beauty” è una cultivar di rosa… (è una varietà di pianta coltivata e ottenuta con miglioramento genetico)… appartenente al gruppo degli Ibridi di Tea…
    ibridata da Henri Lédéchaux in Francia nel 1875… ed era originariamente chiamata… “Madame Ferdinand Jamin”…
    ho anche letto che fu la rosa che Alfred Hitchcock mandò in enormi e numerosi bouquet a Vera Miles per convincerla a recitare nei suoi film…

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          1. non il mio. Il mondo è migliorato molto. Tutto è soggettivo. E se tutti migliorano il proprio mondo personale, allora migliora il mondo di tutti. Ma se tutti seguono la scia del peggio, allora peggiora il mondo di molti. Io non tornerei indietro per nessun prezzo. Si va avanti e si costruisce altro. Si costruisce bene; anche fra le macerie si può fare. Ma sarebbe meglio farlo senza arrivare alle macerie. Sta a noi scegliere a cosa votare i nostri pensieri, le nostre emozioni. Io ho deciso di votarli a una Rinascita concreta. Ed ho cominciato da tre anni a questa parte a lavorarci. Non si torna indietro. Si va avanti e si crea. Si fa il nuovo, contemplando il bello… non quello che propongono i burattinai.

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    1. Io non so essere molto obbiettiva perché adoro Spacey e i suoi film mi piacciono quasi sempre. Diciamo che è un film ben fatto, ben scritto e ben interpretato. Ma certe lodi sperticate lasciano il tempo che trovano.

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