The game – Nessuna regola (1997)

Dopo Se7en non era certo facile dirigere un altro thriller senza rischiare di deludere le aspettative del pubblico, ma Fincher non ha mancato il bersaglio con questo film adrenalinico, in cui niente è come sembra. Non c’è dubbio che sappia come creare la tensione e rendere l’atmosfera inquietante, ingannando di continuo lo spettatore attraverso indizi che si accumulano insistentemente, portando in direzioni diverse.

Nicholas è un uomo d’affari di successo, ricchissimo, che vive in una casa enorme tutto da solo, dopo che ha divorziato. Potrebbe godersi la vita, ma vive soltanto per il lavoro. Tendenzialmente asociale, non coltiva amicizie né hobby di nessun tipo, pensa solo ad accumulare denaro che non sa come spendere. Dovendo fare un regalo di compleanno a una persona così, che ha già tutto e potrebbe comprarsi da solo qualunque cosa voglia, cosa gli regalereste? Il fratello Conrad ha la bella idea di regalargli un’esperienza, ma non una cosa banale come un weekend alla SPA, qualcosa di molto più emozionante: un gioco di ruolo misterioso.

Incuriosito, Nicholas decide di accettare il regalo e si reca negli uffici della società che offre questo servizio esclusivo. Dopo aver superato test psicologici e persino una visita medica, viene informato per telefono che la sua richiesta è stata respinta. La cosa non gli fa per niente piacere, ed è solo l’inizio. Da questo momento in poi la sua vita, fino ad allora ben ordinata, diventa un susseguirsi di eventi sempre più strani. Per un maniaco del controllo come Nicholas, la cosa è tutt’altro che piacevole e quello che doveva essere un regalo, si trasforma in un incubo.

Dalle piccole cose come una penna che perde inchiostro o una valigetta che non si apre, fino a situazioni ben peggiori come trovarsi a soccorrere un estraneo e rimanere bloccato in un ascensore, Nicholas si troverà ad affrontare tutta una serie di circostanze per lui nuove, e in vario modo disturbanti, se non addirittura inquietanti. E sarà un crescendo di avvenimenti sempre più gravi e inspiegabili quelli che gli capiteranno, fino ad arrivare sull’orlo della rovina finanziaria con la sparizione del suo intero patrimonio. Su tutto questo si allunga l’ombra del suicidio mai risolto del padre.

Senza scendere troppo nei particolari e naturalmente senza svelare il finale, si può vedere nella trama lo sviluppo di due temi diversi ma complementari, ed entrambi molto avvincenti: da una parte c’è la curiosità di vedere come una persona normale affronta una situazione estrema in cui non si era mai trovata prima; dall’altra, si insinua il dubbio che sia tutta una cospirazione ai suoi danni, per derubarlo delle ingenti ricchezze. Il primo aspetto ricorda in qualche modo Un giorno di ordinaria follia, altro capolavoro interpretato sempre da Michael Douglas, ma Fincher lavora molto più a fondo sullo studio psicologico dei personaggi: Douglas tratteggia tutte le emozioni attraverso cui passa il suo personaggio, dall’indignazione alla rabbia, dallo sconcerto all’incredulità, dalla paura alla disperazione, e ne disegna lo sviluppo in modo molto convincente, da uomo d’affari freddo e calcolatore a vittima devastata e indifesa, che rischia di perdere tutto ciò che gli era caro.

Ma c’è anche un altro tema che Fincher cerca di approfondire ed è il rapporto tra ricchezza e felicità. Il protagonista sembra a prima vista un personaggio piatto, senza profondità: la sua vita è monotona, evita gli inviti a cena ed è riluttante persino a rispondere al telefono. In pratica un asociale, che vive da solo, mangia da solo e si rifiuta di comunicare. Il messaggio che Fincher vuol dare allo spettatore è che la ricchezza non sia equivalente a felicità, ma a solitudine. In questo senso il film mostra qualche analogia con il Canto di Natale di Dickens, dove Ebenezer viene descritto in tutta la sua grettezza, ma soprattutto come un vecchio solo e infelice.

Grazie a questa doppia narrazione, lo spettatore può semplicemente godersi il piacere dell’azione e del mistero creato dai ripetuti colpi di scena, oppure interpretare i riferimenti psicologici del sotto testo, apprezzando la metafora che il regista riesce a creare. In un modo o nell’altro, è un film coinvolgente che cattura l’attenzione dello spettatore e gli dà modo di mettersi direttamente nei panni di Nicholas. La sensazione è quella di stare sulle montagne russe, in una corsa senza freni che rimane sempre imprevedibile, con la musica che sottolinea e aumenta abilmente la suspense.

Il protagonista si imbatte in personaggi strani e situazioni inquietanti e ogni volta si chiede se fa parte del gioco, o se si tratta solo di coincidenze inspiegabili. Finché non si affaccia anche l’ipotesi che sia tutta una gigantesca truffa per derubarlo delle ricchezze faticosamente accumulate. Ma Nicholas arriva persino a dubitare della sua stessa sanità mentale, e continua a pensare a suo padre che, arrivato alla sua età, era saltato giù da un grattacielo. Douglas domina tutto il film e lo regge praticamente da solo, tutti gli altri attori ruotano intorno a lui in ruoli minori. Sean Penn, che interpreta il fratello, appare solo per pochi minuti, ma quando compare bisogna ammettere che ruba la scena.

E’ chiaro che la plausibilità della storia è ridicolmente inverosimile, ma il film ha il merito di non limitare mai la nostra libertà di interpretazione, grazie a una regia attenta e una sceneggiatura accurata che limita le circostanze del tutto illogiche. Così lo spettatore si chiede insieme al protagonista cosa stia succedendo, dove sia la verità e dove la finzione, e la risposta ha il pregio di arrivare solo negli ultimi fotogrammi, con un colpo di scena davvero sorprendente.

31 pensieri riguardo “The game – Nessuna regola (1997)

  1. Ricordo che mi era piaciuto molto: ottimo ritmo anche se piuttosto angosciante, e forse l’ho anche visto due volte (ovviamente, anche per quanto riguarda Se7en penso di essere stata l’unica sulla faccia della terra a cui non è piaciuto, ma magari arriverà qualche commento che mi farà “compagnia” 😉 )

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    1. Se7en era un thriller molto scuro, angosciante, sotto quella pioggia battente che non aiuta, così come certamente non aiuta il finale. Io l’ho apprezzato perché mi piacciono i thriller psicologici e dove c’è mistero da risolvere. Ma capisco che possa risultare difficile da amare.

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      1. Mi pare di ricordare quale fosse il “criterio” seguito dal killer, ma non il finale. Anche a me piacciono abbastanza i thriller psicologici, ma in questo – se non sbaglio – c’era anche un po’ troppo splatter…

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          1. Ecco, se ricordo bene il “criterio” (7, non a caso), mi pare che questo emergesse abbastanza presto. Perché rigirare il coltello nelle… piaghe, facendo leva sulla “forza di stomaco” dello spettatore”? Era funzionale alla trama? A volte lo splatter è gratuito ed esagerato

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          2. Con me sfondi una porta aperta, neanche a me piace troppa violenza, per questo non amo Tarantino. Però in Se7en tutto contribuiva a creare un ambientazione sordida e degradante, in cui si poteva capire la finalità del serial killer e quasi giustificarlo. Poi il finale è di una genialità che gli perdoni tutto il resto.

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          3. Eh, nel mio caso tutto quello splatter (che è un po’ diverso dalla violenza) mi ha fatto dimenticare pure il finale… geniale, pensa un po’. Ma siccome non ho alcuna intenzione di rivederlo, sono andata a cercare la spiegazione “ideologico-filosofica” del finale, e sì, do ragione sia a te che a Pitt che si è impuntato per non cambiarlo!
            Lo splatter è quasi sempre gratuito (almeno in parte), mentre la violenza spesso è funzionale alla storia e di per sé non mi dà troppo fastidio, anche se ovviamente dipende dal tipo di violenza, da come è mostrata, e altri fattori.
            Di Tarantino qualcosa mi è piaciuto, tipo Le iene, Pulp Fiction e il più banale Bastardi senza gloria, ma ricordo anche io di averne visto uno piuttosto violento, ma non mi ricordo quale (forse Four Rooms, nel quale però mi sa che era regista solo di uno dei quattro episodi, o più probabilmente Dal tramonto all’alba, di cui ha curato solo la sceneggiatura: entrambi in collaborazione con l’amico regista Rodriguez). Credo di non aver visto altro ma vorrei vedere C’era una volta a… Hollywood.

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          4. Forse hai visto Dal tramonto all’alba, dove da un certo punto in poi diventa una carneficina. Bastardi senza gloria è piaciuto anche a me, ma non sembra neppure opera di Tarantino.

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          5. In quel film Brad Pitt era proprio “in parte”. Non sempre lo è.
            Ieri sotto alla tua recensione di The Game c’erano altri post e non so come sono arrivata a Intervista col vampiro, che ho visto e mi è anche piaciuto (per essere un film di quel filone, che proprio non fa per me). Beh, mentre Pitt era “miracolosamente” in parte, Tom Cruise, non so perché, mi è parso ridicolo

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          6. Non so, si va a periodi, e se non hai un buon agente che ti trova le occasioni giuste, finisce che non ti cerca più nessuno. Anche Douglas per me era molto bravo, adesso è un po’ che non fa cose di valore.

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          7. E credo che proprio in televisione si fece notare inizialmente, in una serie che si chiamava (ho controllato ora su Wiki) Le strade di San Francisco. Ma non l’ho vista perché all’epoca non avevo la tv e forse dopo non mi è più capitata… Tra l’altro, credo che abbia faticato abbastanza, visto che era “figlio d’arte”

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