Nascosto nel buio (2005)

Un film che riprende senza pudore molti stereotipi, abusati nel genere horror, per riciclarli in maniera nuova nel thriller. Quindi se cercate un horror, resterete delusi, se invece vi accontentate di un buon thriller con un certo numero di colpi di scena e un finale a sorpresa, questo film può piacervi. In un caso o nell’altro, conviene sedersi a guardarlo senza fare caso a qualche incongruenza della sceneggiatura, seguendo semplicemente la trama per vedere dove ci porterà.

Dopo il suicidio della moglie, apparentemente senza un motivo, lo psicologo David Callaway decide di portare via la figlioletta Emily, scioccata dalla morte della madre, e per farle cambiare ambiente prende una grande casa sul lago, il più lontano possibile dai ricordi del loro appartamento di città. Ma la bambina sembra profondamente traumatizzata, al punto da reagire in maniera violenta quando il padre invita a cena una vicina di casa con cui ha fatto amicizia.

Non è troppo sorpreso, quindi, quando Emily dice di avere un nuovo amico, che chiama Charlie, e che lui comprende subito essere immaginario: come psicologo sa che è una reazione più che normale di fronte a un trauma. Tuttavia cominciano ad accadere fatti strani e inquietanti, mentre il comportamento di Emily continua a peggiorare progressivamente, tanto che David chiede aiuto a un’amica, anch’essa psicologa, perché si occupi della bambina. La collega non può che confermare la diagnosi di David, e gli suggerisce di assecondare le fantasie di Emily su questo amico immaginario, con cui sembra giocare a nascondino. Quando la situazione precipita con la morte della vicina di casa a cui David si era ormai legato affettivamente, sorge il dubbio che Charlie non sia poi tanto immaginario. Toccherà proprio a David scoprire la terribile verità.

Personalmente l’ho trovato un thriller psicologico molto elegante, inquietante ed efficace, anche se infarcito di stereotipi al punto da apparire prevedibile: una vecchia casa in una zona abbandonata, troppo grande per due sole persone, piena di scale e sottoscala, ripostigli e nascondigli, cantine buie, porte che cigolano e rubinetti che sgocciolano; a questo si aggiungono bambole mutilate, messaggi scritti con il sangue, disegni infantili inquietanti e naturalmente vicini di casa dall’apparenza sospetta e sinistra. Ma proprio questa parvenza di prevedibilità che sembra portare a qualcosa di già visto mille volte, alla fine rende l’epilogo ancora più sorprendente, se non proprio imprevedibile.

La sceneggiatura non è perfetta, ci sono parecchie coincidenze e situazioni improbabili oltre che poco logiche, ma il film nel suo insieme conquista, e il colpo di scena finale è preservato con successo. Il cuore della pellicola sono le interpretazioni di De Niro e Dakota Fanning nei ruoli principali: lui si cala con facilità nei panni del padre premuroso e disperato, senza esasperare i toni come altre volte gli è capitato, e l’allora piccola Fanning fa un lavoro fantastico nel rendere Emily inquietante, con quello sguardo che sembra fissarti dritto nell’anima, trasmettendo più di quanto possano fare le parole.

Sfoggia tutte le sfaccettature del suo talento, passando dal dolore alla rabbia, dal sorriso al pianto, con una performance che fa impallidire quella di De Niro. In più, tra loro si crea una chimica fantastica, che rende il film non solo avvincente, ma quasi ipnotico. E anche il cast di supporto è notevole, da Famke Janssen, perfetta nel ruolo della psicologa, alla dolcissima Elisabeth Shue nei panni dell’incauta vicina di casa, e poi Melissa Leo e Dylan Baker, senza dimenticare Amy Irving, sacrificata nel ruolo della moglie suicida.

Alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa, senza dubbio John Polson non è Shyamalan ma riesce a tenerci agganciati con giochi di luce e movimenti di macchina insoliti, scorci intriganti, false piste e personaggi secondari inquietanti, nonostante la storia non sia solidissima. A un certo punto si pensa persino che qualcosa di sovrannaturale possa squarciare i muri da un momento all’altro. Il regista crea un’atmosfera tesa e gioca con il pubblico fornendo ipotesi e colpi di scena diversi, alcuni dei quali forse non sono molto originali o eseguiti in maniera sorprendente, ma trasformano una storia banale in qualcosa di inconsueto. Un padre che cerca di proteggere sua figlia, una bambina spaventata, un amico invisibile alquanto invadente: non cercate di indovinare cosa può succedere, ma godetevi lo spettacolo.

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