Una voce nella notte (2006)

Trasposizione di un romanzo autobiografico scritto da Armistead Maupin, che ha curato anche la sceneggiatura, è una storia vera, dove la verità ha la forma di un rebus che nessuno, per ora, ha ancora risolto. Uno degli ultimi film di Williams da protagonista e anche uno dei più difficili. Difficili le tematiche, molto particolari e forse non espresse in modo chiaro, e difficile il genere, perché nonostante Williams fosse un attore completo, il pubblico lo ha sempre amato più nei ruoli comici che in quelli drammatici. Perché se quando voleva far ridere, era una forza della natura, travolgente come pochi altri comici, quando si calava in ruoli più seri, il suo sorriso diventava malinconico, e sembrava tenere sulle spalle tutto il dolore del mondo.

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Misery non deve morire (1990)

Stephen King ha la capacità di trasformare in incubi terrificanti le situazioni più banali, non senza usare una certa ironia. Cosa ci può essere di più innocuo di un’ammiratrice entusiasta che casualmente si imbatte nel suo idolo? Solo il genio perverso di King poteva trasformare un’appassionata lettrice di romanzi rosa in una fredda e brutale squilibrata, dall’aspetto inoffensivo, ma capace delle più crudeli efferatezze. Sfruttando un’ambientazione claustrofobica e un cast perfetto, il regista Rob Reiner trasforma il romanzo di King in un thriller eccellente.

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Il terrore corre sul filo (1948)

Un thriller quasi perfetto, tratto da un radiodramma di Lucille Fletcher, da lei stesso sceneggiato. E’ chiaro che l’aiuto della macchina da presa contribuisce non poco ad aumentare l’atmosfera tesa di una storia nata per la radio, che conteneva già diversi elementi drammatici, ma tutti concentrati nella narrazione e nei dialoghi. Il regista, infatti, grazie alle immagini riesce a catturare molto bene il senso di solitudine e desolazione che segna la vita dei personaggi e confeziona un film in cui la suspense è tangibile, pur essendo quasi del tutto privo di azione, confinato nel ristretto spazio di una camera da letto, come la sua protagonista.

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Dietro la porta chiusa (1947)

Fritz Lang è stato uno dei grandi registi del movimento espressionista tedesco, ed ha avuto una notevole influenza sul cinema in generale, e sul genere noir in particolare. Film come Metropolis e M – Il mostro di Düsseldorf stabilirono nuovi standard, soprattutto nell’estetica visiva. Quindi non sorprende che quando lasciò la Germania e si trasferì negli Stati Uniti a metà degli anni ’30, abbia girato diversi film noir di particolare impatto, tra cui Il prigioniero del terrore e Gardenia blu. Dietro la porta chiusa è il secondo film girato da Lang con la sensuale Joan Bennett, dopo La strada scarlatta, uscito tre anni prima.

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L’amore bugiardo (2014)

Basato sull’omonimo romanzo di Gillian Flynn, che ha curato anche la sceneggiatura del film, L’amore bugiardo è un altro thriller che si aggiunge al nutrito carnet di David Fincher, il che è già garanzia di ottima fattura. Quasi due ore e mezza di film in cui i personaggi si svelano a poco a poco, mentre la trama compie più di un’inversione di marcia, mescolando passato e presente tramite flashback che aggiungono ogni volta nuovi elementi.

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Frailty – Nessuno è al sicuro (2001)

Chi mi segue sa che non amo il genere horror, a meno che non sia psicologico e senza grandi spargimenti di sangue. Frailty riunisce in sé la suspense del thriller e il fascino del mistero, un accurato studio psicologico dei personaggi, e il meccanismo narrativo del flashback, espediente già di per sé intrigante, che qui è finalizzato al colpo di scena finale. In più sono pochi i film che osano affrontare le debolezze della fede, ponendosi il problema di fino a che punto sia giusto credere e oltre quale limite si possa parlare di follia: l’argomento è insidioso e potrebbe facilmente offendere i credenti o sfociare nel ridicolo. Per tutti questi motivi il film mi ha incuriosito, e devo dire che non mi ha deluso.

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The life of David Gale (2003)

Alan Parker ha spesso cercato di sconvolgere lo spettatore con la potenza delle sue immagini, e di coinvolgerlo in riflessioni di carattere sociale, a partire da Fuga di mezzanotte fino a Le ceneri di Angela, passando per Mississippi burning. Questo film vorrebbe essere una denuncia contro la pena di morte, non tanto per la sua crudeltà, come aveva fatto Tim Robbins con Dead man walking, quanto per la possibilità di commettere un tragico e irreparabile errore. La sceneggiatura purtroppo non convince fino in fondo, ma il film rimane un buon thriller grazie a diversi colpi di scena e un finale davvero imprevedibile.

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Che fine ha fatto Baby Jane? (1962)

Questo capolavoro ha rivoluzionato completamente il concetto di terrore cinematografico, che fino ad allora era stato quasi sempre legato allo straordinario o al soprannaturale, e comunque al delirio fantastico. Nel film di Aldrich, invece, la suspense è prodotta da banali scontri tra due sorelle, entrambe dotate di una capacità infinita di ferirsi a vicenda, con una grottesca esuberanza femminile. Tuttavia il tema principale del film, rivelato anche dal titolo, non è tanto la rivalità tra le due sorelle, che pure riempie pesantemente lo schermo per tutta la durata del film, ma piuttosto la messa sotto accusa dell’industria dello spettacolo come fabbrica di sogni, che purtroppo sono spesso destinati a diventare amare delusioni.

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The manchurian candidate (2004)

Quando ho visto questo film la prima volta, nel 2004, non sapevo che si trattasse di un remake, e mi è sembrata una buona pellicola di fantapolitica, ben interpretata, con un buon ritmo e la giusta tensione, equamente distribuita. Poi ho scoperto, scrivendo la monografia di Angela Lansbury, che esisteva un originale del 1962 con lo stesso titolo, ma arrivato in Italia tradotto in Va’ e uccidi. Ovviamente l’ho cercato per la curiosità di vederlo, e poi ho rivisto anche il remake per poter fare il confronto. La trama è abbastanza simile, anche se debitamente aggiornata.

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Schegge di paura (1996)

Uno dei thriller più avvincenti e imprevedibili degli ultimi 30 anni. Unisce una trama intrigante e complessa ad una suspense vertiginosa, con un ritmo incalzante e alcuni colpi di scena indimenticabili. Ha l’impianto di un dramma giudiziario senza subirne i momenti più noiosi, e riesce a catalizzare l’attenzione dello spettatore, coinvolgendolo in modo emozionante, al pari di un action adrenalinico. Non diventa mai lento e non si perde in scene inutili. E l’argomento scabroso aggiunge quel pizzico di morbosità che di sicuro non nuoce al risultato finale.

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