Fuga per la vittoria (1981)

Forse non è il momento adatto per parlare di questo film, o forse è proprio il momento giusto, perché Fuga per la vittoria è molto più di un film sul calcio; è una metafora sulla vita e sull’onore, su quella libertà che l’uomo non smetterà mai di cercare, e lo sport, con i valori importanti di cui è simbolo, quali solidarietà e altruismo, è la cornice perfetta per trasmettere un messaggio universale che trascenda i confini di tempo e di luogo. Almeno in teoria.
La pellicola di Houston è liberamente ispirata ad un fatto realmente accaduto, la cosiddetta partita della morte, giocata nel 1942 tra ufficiali nazisti e giocatori ucraini. Un evento che nel corso del tempo ha finito per dar vita a più di una versione.

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Senza indizio (1988)

Tra i tanti film dedicati al geniale detective londinese, Senza indizio è assolutamente speciale, non tanto perché si tratta di una commedia, quanto per la brillante idea che sta alla base della storia. C’erano già state parodie del personaggio, una per tutte quella di Mel Brooks, che con la sua solita squadra di attori aveva creato un film divertente e ironico, sul classico canovaccio di Conan Doyle. Qui, invece, si assiste a un ribaltamento delle premesse e dei personaggi stessi della storia, quasi una profanazione del mito di Sherlock Holmes, che tuttavia usa i consueti ingredienti di un classico giallo con protagonisti i due famosi coinquilini di Baker Street.

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Il cavaliere oscuro (2008)

Da molti considerato il miglior film dell’uomo pipistrello, il cavaliere di Nolan abbandona definitivamente l’immagine del Batman dei fumetti per diventare un eroe drammatico che lotta per estirpare il male dalla società. Personalmente sono molto affezionata alle atmosfere gotiche e visionarie di Tim Burton, e la sua trasposizione cinematografica di Batman, che esalta l’essenza malinconica del fumetto, resta la mia preferita. Tuttavia non mi è dispiaciuto neppure questo secondo capitolo della trilogia di Nolan, molto più completo, a mio avviso, rispetto al primo.

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Trappola mortale (1982)

Un film di chiaro stampo teatrale, trasposizione di una commedia nera di Ira Levin che aveva riscosso un grande successo a Broadway. Il cinema ha spesso attinto ai romanzi di Levin, da Rosemary’s baby a Un bacio prima di morire, da I ragazzi venuti dal Brasile a La donna perfetta; in questo caso c’è Sidney Lumet alla regia, un cast abbastanza convincente, una sceneggiatura spiritosa che sconfina nel grottesco, e una trama complessa con più di un colpo di scena ben piazzato.

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Festa in casa Muppets (1992)

Ennesima versione cinematografica del racconto di Dickens, a 4 anni di distanza dal più chiassoso Sos fantasmi, questo film è una riuscitissima fusione di pupazzi animati e attori in carne ed ossa. Mantiene intatta l’atmosfera magica del racconto di Dickens, facendone un musical e inserendo personaggi nuovi al fianco dei protagonisti classici.

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Gli insospettabili (1972)

Il film è l’addio al cinema di Joseph L. Mankiewicz, dopo una carriera ricca di sceneggiature, film e premi; dopo un viaggio di poco più di 40 anni, il regista conclude la sua carriera con una storia sul mascheramento dell’identità e sull’inganno, su quanto possa essere pericoloso uno scherzo quando è in gioco l’ego. Una storia che è un capolavoro di tensione e mistero, e diventa un film intrigante, grazie alla bravura dei due protagonisti. La vicenda, di chiaro stampo teatrale e girata quasi tutta in un interno, gira intorno a due personaggi, uno scrittore di successo e un parrucchiere amante della moglie.

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Rumori fuori scena (1992)

Basato sulla commedia omonima di Michael Frayn, il film ci porta nel mondo del teatro, dove una sgangherata compagnia di second’ordine lotta per mettere in scena una complicata commedia. Ne seguiremo le repliche, serata dopo serata, in un continuo alternarsi tra il palcoscenico e il dietro le quinte, assaporando l’odore del teatro e le mille complicazioni della messa in scena.

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Le regole della casa del sidro (1999)

Un film delicato e poetico, pur coraggioso nelle tematiche forti, tratto dal romanzo omonimo di John Irving, che racconta la storia di un giovane orfano e del suo lento processo di crescita, fino alla scoperta del suo posto nel mondo. La pellicola è divisa in due parti ben distinte, che seguono l’ordine cronologico della narrazione, raccontando la maturazione fisica e psicologica del protagonista e lo sviluppo progressivo del rapporto con il suo mentore. Nella prima parte inizia e si sviluppa la relazione di reciproco affetto tra il giovane e il tutore, che cerca in qualche modo di plasmarlo a sua immagine e somiglianza; nella seconda parte invece cresce ed esplode il suo tentativo di svincolarsi dalla dipendenza affettiva e reclamare a gran voce la propria indipendenza.

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