2022: i sopravvissuti (1973)

Descrizione senza compromessi di una società futuristica distopica, questo film sembra raccontarci il mondo attuale, tanto da far venire i brividi se si pensa che è stato concepito nel 1973. Ispirato al romanzo Largo! Largo! di Harry Harrison, ma reso molto più inquietante dall’intervento di Stanley Greenberg alla sceneggiatura, il film contiene un po’ tutti i principali temi che più volte ricorrono nei film di fantascienza distopica: riscaldamento globale, crisi ambientale, sovrappopolazione, divisione in classi con enormi diseguaglianze sociali, governo tirannico aiutato dalla polizia, più intenta a reprimere il malcontento popolare che a combattere i crimini, complotto globale ordito dalle grandi aziende, eutanasia e sfruttamento sessuale delle donne. Manca solo l’invasore alieno, ma non è quel genere di fantascienza.

Siamo nel 2022: la Terra è sovrappopolata, New York conta da sola 40 milioni di abitanti che si ammassano ovunque, dormendo per terra agli angoli delle strade. Naturalmente solo i poveri, perché i ricchi vivono in lussuosi appartamenti dotati di ogni confort, persino di una donna, ovviamente giovane e bella, che fa parte dell’arredamento di casa proprio come un mobile, e come tale si trasferisce al nuovo affittuario. Il problema più grande è la nutrizione perché gli esseri umani hanno esaurito da tempo le risorse naturali. La terra, inaridita e inquinata, non produce più nulla o quasi, e quel poco che ancora c’è di commestibile è riservato ai pochi ricchi che possono permettersi di acquistarlo a prezzi esorbitanti.

Unico cibo per nutrire la popolazione è il Soylent, un alimento sintetico distribuito in gallette colorate, che contiene teoricamente tutti i minerali necessari alla sussistenza. Il Soylent Green (che dà il titolo originale al film), particolarmente nutritivo perché ricavato dal plancton marino, non riesce però a coprire la domanda, tanto da poter essere distribuito solo un giorno alla settimana. Sullo sfondo di questa New York del futuro, si inserisce un omicidio da risolvere, quando Simonson, uno dei dirigenti della Soylent, viene ucciso: a indagare è chiamato il detective Thorn, il quale capisce subito che non si è trattato di una rapina, e cerca di scoprire il movente di quell’assassinio.

Thorn convive con l’amico Solomon, amante dei libri e della cultura, e abbastanza anziano da ricordare con nostalgia com’era il mondo una volta; insieme a lui scoprirà cosa si cela dietro la morte di Simonson e la spaventosa realtà nascosta nel Soylent Green.
Anticipando la crisi economica che ha colpito un po’ tutti i paesi occidentali, il regista descrive una società futuristica non così lontana dalla nostra attuale, con la disoccupazione dilagante, il disordine e l’insicurezza che regnano sovrani, e tutte le risorse del pianeta allegramente saccheggiate come se non ci fosse un domani. Uno sfondo particolarmente pessimistico per allora, che oggi ci appare quasi profetico.

Molto prima di Blade Runner, questo potente dramma fantascientifico ha aperto la strada a film che avrebbero mostrato senza filtri un implacabile deterioramento della società. Mentre storie come Mad Max o Waterworld combineranno la mancanza di riserve alimentari con un ambiente selvaggio e senza legge, 2022 trasforma invece autentici problemi socioeconomici in risultati credibili, esasperati dalla disperazione diffusa e da una visione sostanzialmente atea della vita.

Fleischer era un veterano quando la MGM gli affidò la regia di questo film e il risultato non delude: riesce a creare un universo futuristico perfettamente credibile che non è invecchiato per niente. Charlton Heston e Edward G. Robinson reggono il film sulle loro spalle, circondati da validi caratteristi come Chuck Connors e Whit Bissell. Quello che preoccupa è che la fantascienza ha spesso anticipato con la fantasia situazioni, problematiche e addirittura tecnologie puntualmente realizzatesi nel futuro prossimo. Basta pensare a Orwell o ai replicanti di Blade Runner per guardarci attorno con angoscia. E questo film non fa eccezione.

La prospettiva è abbastanza cupa, anche se alcune cose dovrebbero consolarci. La sovrappopolazione immaginata dal film (7 miliardi di abitanti nel 2022) si è verificata in realtà circa 10 anni prima di quanto ipotizzato, ma l’ordine sociale non è ancora crollato, e per fortuna non vediamo gente che dorme sulle scale o nelle chiese. Il ruolo della donna è molto diverso da quello prospettato nel film, e sinceramente mi sembra che già nel ’73 fosse fuori luogo immaginare le donne come parte del mobilio, se non forse nei sogni erotici di qualche maschio molto fantasioso.

Altri aspetti, invece, dovrebbero attirare la nostra attenzione e farci riflettere. In particolare, nella società descritta nel film, colpisce il ruolo dell’eutanasia, che non solo è ammessa, ma addirittura suggerita e assecondata dal governo come strumento per il controllo della popolazione. Una delle parti più inquietanti della sceneggiatura riguarda proprio l’incoraggiamento degli anziani a suicidarsi per il bene comune: nel film viene mostrata una bella struttura, una specie di clinica di lusso (sulla morte non si risparmia), che accoglie gli anziani con l’unico intento di farli morire serenamente. Possono scegliere le immagini e la musica che accompagneranno i loro ultimi momenti, dopo aver bevuto un veleno che li ucciderà in pochi minuti. Semplice, rapido e pulito.

La scena in cui il vecchio Sol, dopo aver scoperto una verità impossibile da sopportare, decide di suicidarsi è una delle più strazianti del film, e oserei dire della storia del cinema, soprattutto sapendo che Edward G. Robinson era malato terminale ed è effettivamente morto qualche giorno dopo aver finito le riprese del film. Leggenda vuole che in quella sequenza le lacrime di Charlton Heston fossero vere. Ma al di là di questo, la scena dell’eutanasia è emotivamente molto intensa. E’ chiaro che l’intento del regista fosse scandalizzare lo spettatore e suscitare in lui una reazione di sdegno di fronte a una realtà così orribile da essere inaccettabile.

Lo stesso si può dire riguardo al cibo sintetico e alle bugie raccontate dall’establishment al popolo, assimilato ormai a spazzatura da riciclare. La sceneggiatura di Greenberg e la regia di Fleischer danno un’immagine potente e distopica del nostro futuro, e visto che siamo ormai arrivati alla data fatidica, anzi l’abbiamo già superata, viene da chiedersi quanto di questa profezia potrebbe avverarsi. Di cibo sintetico ne abbiamo sentito parlare molto ultimamente, e di bugie è un bel po’ che ce ne raccontano. Quanto all’eutanasia, l’hanno addirittura trasformata in un diritto per cui lottare…
In conclusione, questo è un film da vedere e da guardare con attenzione, anche più di una volta, per coglierne le sotto tracce prima che sia troppo tardi.

Per un’altra opinione: 2022: i sopravvissuti (1973) – R. Fleischer

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