Dietro la porta chiusa (1947)

Fritz Lang è stato uno dei grandi registi del movimento espressionista tedesco, ed ha avuto una notevole influenza sul cinema in generale, e sul genere noir in particolare. Film come Metropolis e M – Il mostro di Düsseldorf stabilirono nuovi standard, soprattutto nell’estetica visiva. Quindi non sorprende che quando lasciò la Germania e si trasferì negli Stati Uniti a metà degli anni ’30, abbia girato diversi film noir di particolare impatto, tra cui Il prigioniero del terrore e Gardenia blu. Dietro la porta chiusa è il secondo film girato da Lang con la sensuale Joan Bennett, dopo La strada scarlatta, uscito tre anni prima.

Tratto dal racconto Museum piece number 13 di Rufus King, e vagamente ispirato alla favola gotica di Barbablù, è una storia fantastica a metà tra mistery e horror. Joan Bennett interpreta la ricca ereditiera Cecilia, che, rimasta sola in seguito alla morte dell’amatissimo fratello, decide di andare in vacanza in Messico per distrarsi. Lì incontra un misterioso e affascinante architetto, Marco Lamphere, e in breve tempo i due si innamorano perdutamente e si sposano, pur sapendo pochissimo l’uno dell’altra. Proprio come avviene nelle favole.

Una volta trasferiti nella casa di lui, Cecilia scopre a poco a poco cose sempre più inquietanti sul marito: scopre che Marco è praticamente in rovina, che è vedovo e ha pure un figlio, che tra l’altro lo odia e lo incolpa per la morte della madre. Conosce Carolina, la sorella enigmatica ed eccessivamente protettiva di Marco, e l’inquietante segretaria, Miss Robey, che tiene sempre coperta una parte del viso a causa di una cicatrice da ustione.

Sarebbe già abbastanza per far fuggire chiunque, ma non è ancora tutto. Marco le confessa anche di avere una collezione molto particolare: nella sua casa conserva infatti sei stanze che sono la ricostruzione fedele di altrettante scene del crimine, la riproduzione fin nei minimi dettagli di luoghi in cui è stato commesso un delitto. Ma ce n’è una settima, che tiene chiusa a chiave ed è vietato a chiunque entravi. Inutile dire che Cecilia riuscirà ad aprire quella porta e quello che troverà cambierà per sempre la sua vita.

Spero di avervi incuriosito, perché il film vale la pena di essere visto, non tanto per la vicenda, che a uno spettatore moderno e smaliziato può apparire forse ingenua e comunque scontata nel suo evolversi, quanto per la messa in scena creata da Lang con la collaborazione di Stanley Cortez, più volte candidato all’Oscar per la fotografia, e Miklós Rózsa, il compositore ungherese già autore delle musiche di Io ti salverò per Hitchcock. Le bellissime ombre scure di Cortez e le inquadrature sorprendenti di Lang vengono mirabilmente accentuate dalla colonna sonora melodrammatica di Rózsa, creando un insieme onirico e visionario davvero affascinante.

Rimane una pellicola sbalorditiva dal punto di vista cinematografico, uno spettacolo suggestivo e davvero notevole, un insieme unico di atmosfera e tensione, animato da un ritmo sempre in crescendo, che non conosce cali né pause: la tensione del film si accumula piacevolmente fino al climax finale. Il gusto espressionista di Lang domina ovunque, ma si esplicita in particolare in una strana sequenza onirica in cui Marco deve affrontare un processo, in cui lui è al tempo stesso imputato e pubblico ministero, mentre il giudice e la giuria rimangono in ombra. È una scena suggestiva ma anche inquietante, utilizzata dal regista per trasmettere l’instabilità mentale del protagonista e il suo senso di colpa.

Il cast collabora efficacemente al risultato: Joan Bennett, che era solita interpretare la femme fatale, riesce bene ad entrare in un personaggio così passivo e sottomesso come Cecilia, disegnandone abilmente tutte le insicurezze. Anne Revere è perfetta nel ruolo della riservata Carolina, e Barbara O’Neil è semplicemente inquietante come Miss Robey, che conserva non pochi segreti nascosti dietro la sua sciarpa. L’unico un po’ fuori parte sembra il protagonista, Michael Redgrave, padre dell’attrice Vanessa, che pure era tutt’altro che un cattivo attore.

Tuttavia sembra che tra lui e la Bennett non ci sia alcuna chimica, e la storia d’amore tra i loro personaggi non riesce a emozionare lo spettatore. Forse anche per questo il film fu un insuccesso al botteghino. O forse perché prende in prestito diversi elementi da altre pellicole, come Il sospetto, Io ti salverò, e Rebecca – La prima moglie, senza però essere all’altezza degli originali. Lang stesso dichiarò che l’idea del film gli era venuta osservando una sequenza di Rebecca. Rimane comunque un film da riscoprire, una magnifica esperienza visiva, un noir suggestivo e avvincente, con intriganti implicazioni psicoanalitiche che di certo non deluderanno gli appassionati del genere.

Se volete altri pareri su questa pellicola, potete trovarli qui:
DIETRO LA PORTA CHIUSA – F.LANG.1948
Dietro la porta chiusa (1947) Storia di un disastro

20 pensieri riguardo “Dietro la porta chiusa (1947)

  1. Come sai a me il film non è piaciuto, proprio perché l’ho visto come una versione di minor valore dei citati film di Hitchcock, ma solo da un punto di vista di sceneggiatura (la cui lavorazione è stata disastrosa, come racconto nella mia recensione tramite la voce dei diretti interessati.)
    Però è indiscutibile che l’esecuzione tecnico-visiva sia ineccepibile, parliamo in fondo di un maestro del cinema quindi è chiaro che ogni scena sia un piccolo gioiello. Il problema è che una volta che grazie alla trama ci sono subito venti in mente i due film di Hitchcock, è impossibile apprezzare le costruzioni visive di Lang senza pensare che sta semplicemente rifacendo in modo furbo scene che hanno già funzionato, da cui il suo sfogo dell’epoca contro gli spettatori, come a dire “ma come, vi sono piaciute con Hitch e ora, un paio d’anni dopo, non vi piacciono più se le rifaccio io?” 😀

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    1. Sarà perché io l’ho visto come una versione moderna di Barbablù, non mi aspettavo più di tanto dalla sceneggiatura. Anche perché certe ingenuità allora erano molto diffuse nelle storie, tipo il colpo di fulmine con matrimonio immediato tra sconosciuti. Comunque ho letto volentieri il tuo articolo e ho capito il tuo punto di vista, che in parte posso condividere. E’ sempre bello confrontarsi, apre gli orizzonti. 🙂

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