Il verdetto (1982)

Davide contro Golia. Così si potrebbe riassumere la trama di questo splendido film. Solo che Davide qui non è un giovinetto innocente, ma un avvocato alcolizzato e dalla dubbia moralità, che ha affrontato 3 cause in 4 anni e le ha perse tutte, mentre Golia è uno studio legale di prim’ordine, che può contare su uno stuolo di giovani avvocati preparatissimi, abilmente guidati da un principe del foro. In più, se questo non bastasse, il giudice sembra non essere imparziale.

Perciò quando a Davide viene offerto un generoso patteggiamento in denaro pur di non arrivare in tribunale, la cosa più intelligente che dovrebbe fare, quello che tutti si aspettano da lui, è che accetti. Ma tra Davide e Golia c’è una giovane donna, distrutta per sempre dalla negligenza di chi avrebbe dovuto curarla, e la sua famiglia che chiede giustizia.

Così, di fronte al dramma terribile della vittima, ridotta ad un vegetale, questo avvocato ormai sull’orlo del baratro umano e professionale, ha un sussulto di coscienza e capisce che quando un’ingiustizia è davvero intollerabile, deve essere punita, a qualunque costo. Decide quindi di andare in tribunale, e affrontare una causa troppo grande per lui, che risucchierà lentamente tutte le sue energie e le poche risorse che gli sono rimaste, ma gli darà una nuova ragione di vita.

Nel corso del processo dimostrerà infatti di essere molto più in gamba di quanto ci si aspetterebbe, e scopriremo che slealtà e disonestà sono strumenti che appartengono non a lui, ma all’avversario. Dopo alterne vicende e innumerevoli ostacoli, nonché un’imprevedibile colpo di scena, alla fine Golia sarà sconfitto, non da una fionda, ma dalla verità, talmente semplice, inequivocabile e brutale, da non poter rimanere nascosta.

Da vedere assolutamente per gli appassionati di legal thriller, quelli dove si respira la polvere dei tribunali e dove la giustizia alla fine trionfa sempre, può essere invece una visione un po’ impegnativa per chi preferisce film d’azione dal ritmo vivace. Il film si snoda per più di due ore con una certa lentezza, che forse può appesantirne la visione, ma è ben sostenuto dalla bravura degli interpreti e da un buon numero di colpi di scena, sapientemente dosati, che infittiscono la trama rendendola più interessante. In realtà è molto più di un dramma giudiziario.

L’esito della causa non è la parte più importante del film, anche se ci tiene col fiato sospeso fino all’ultimo; il film ruota attorno allo sviluppo personale del personaggio principale, l’avvocato Frank Galvin, che lotta per risalire dall’abisso umano e professionale in cui è precipitato, e Lumet sa come rappresentare molto bene questa lotta. Grazie alla perfetta sceneggiatura di Mamet, costruita sull’omonimo romanzo di Barry Reed, si crea un quadro realistico della situazione, in modo che tutti i meccanismi processuali siano ben comprensibili per lo spettatore, e si possa quindi seguire la vicenda senza difficoltà. E come sempre succede con Lumet, sono gli interpreti a dare vita alla storia.

Una grande prova di attori, tutti mostri sacri, diretti con finezza e sensibilità da un Lumet in gran forma: Paul Newman, qui in una delle ultime interpretazioni da protagonista, è incommensurabile, affiancato da Jack Warden che gli fa da spalla di gran lusso, e Charlotte Rampling in un ruolo davvero non facile, ma perfetto per il suo sguardo enigmatico e misterioso. Maestosa anche la prova di James Mason, che con la consueta eleganza sostiene un ruolo decisamente detestabile. Notevoli anche i caratteristi di contorno, a cominciare dal giudice, interpretato da Milo O’Shea, fino all’infermiera che sarà la testimone chiave.

Ma soprattutto da maestro è il tocco di Lumet, che alterna abilmente le riprese interne all’aula di tribunale con quelle esterne, fondendo il ritratto malinconico dell’avvocato con i consueti riti processuali e mostrando la lenta trasformazione del protagonista da relitto umano, che ha svenduto la propria dignità, a vero e proprio combattente che lotta fino alla fine, con la consapevolezza di avere uno scopo.

All’interno del tribunale assistiamo agli scontri impari tra Davide e Golia, alle deposizioni dei testimoni, ai piccoli progressi e alle numerose battute d’arresto della causa, mentre fuori dal tribunale seguiamo l’avvocato nelle sue indagini incessanti e disperate alla ricerca della verità.

E quando finalmente la verità arriva sul banco dei testimoni, Lumet firma uno dei più bei finali processuali della storia del cinema: prima la commuovente testimonianza dell’infermiera, che rivela, tra le lacrime, cos’è realmente successo, poi l’opposizione della controparte che, con un cavillo, fa cancellare la deposizione dal verbale, annullando teoricamente ogni possibilità di vittoria, quindi la toccante arringa dell’avvocato, che riapre la speranza di ottenere giustizia, e infine il verdetto della giuria che è un trionfo oltre ogni aspettativa.

E la mano di Lumet si vede nelle immagini che accompagnano la lettura del verdetto, nella splendida carrellata di inquadrature che passano dalla reazione incredula e piacevolmente sorpresa del protagonista, al disappunto della controparte sconfitta, fino all’abbraccio gioioso e liberatorio della famiglia della vittima, per poi concludere con la faccia delusa e perplessa del giudice che assiste impotente alla sorprendente decisione dei giurati, contro la quale ha remato fin dall’inizio.

Non è solo un film intenso e bellissimo, ma è anche una lezione di grande cinema, e, particolare di non poco conto, è l’occasione di veder trionfare, per una volta, la giustizia. Almeno al cinema.

15 pensieri riguardo “Il verdetto (1982)

  1. E’ passato tanto tempo dalla mia visione e la trama la ricordo poco, ma ricordo il grande piacere di gustare grandi attori – dal protagonista fino all’ultimo dei figuranti – diretti da un maestro come Lumet, che con i legal thriller mi ha sempre fatto battere forte il cuore.

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