A civil action (1998)

Basato su un fatto realmente accaduto, è uno dei legal thriller che preferisco, perché rimane fedele al fatto di cronaca da cui prende spunto, e non cerca di edulcorare le vicende né la figura del protagonista, come spesso accade in questi casi. A metà tra Erin Brockovich e L’uomo della pioggia, è un film per gli amanti dei tribunali, anche se non ci sono quei grandi duelli tra avvocati a cui i film tratti da Grisham ci hanno abituato. Qui l’obiettivo si concentra sul lavoro fatto dietro le quinte, fuori dalle aule di giustizia. Quello che lo distingue da altre pellicole del genere è che inizia gradualmente a prendere svolte inaspettate, al di fuori degli schemi abituali, con il risultato che diventa allo stesso tempo più eccitante e imprevedibile.

Il protagonista della storia è Jan, un avvocato molto materialista, amante del lusso e dei soldi, specializzato in cause di risarcimento per danni, attento a scegliere quelle che possano essere vinte con poco sforzo, e renderlo ricco. È lui stesso a presentarsi, nei fotogrammi iniziali, facendo un breve elenco delle cause che ottengono un risarcimento maggiore in sede giudiziale; così apprendiamo dalle sue parole che la vittima ideale è un professionista bianco di sesso maschile sulla quarantina, stroncato all’apice della sua carriera, mentre la morte che vale meno, a livello di indennizzo, è quella di un bambino.

Un giorno si imbatte in una causa civile intentata da alcune famiglie contro due colossi dell’industria americana, colpevoli di aver inquinato per anni le falde acquifere di una piccola cittadina, causando la morte per leucemia di 13 bambini. Dopo averla inizialmente rifiutata, Jan accetta la causa, all’inizio attratto dalla notorietà che potrebbe dargli una vittoria, oltre naturalmente al notevole profitto economico, in un secondo momento spinto dall’effettiva volontà di ottenere giustizia per i propri sfortunati clienti.

La causa risucchierà gradatamente tutte le energie e le risorse economiche del suo piccolo studio, ma il suo progressivo impoverimento andrà di pari passo con un arricchimento morale, perché alla fine Jan si lascerà alle spalle egoismo e superficialità, per diventare una persona migliore. Il finale della storia è amaro, come amara è spesso la realtà, dove quasi mai le cose vanno come dovrebbero. Il film ci accompagna lungo il percorso della vicenda legale, seguendone le vicissitudini, e mostrando la lenta trasformazione psicologica del protagonista e la sua progressiva presa di coscienza.

Travolta dà corpo e anima al suo personaggio, delineandone con intensità tutte le sfumature, passando dal cinismo iniziale al coinvolgimento umano del finale, in modo graduale ma irreversibile, con un crescendo rossiniano che non conosce rallentamenti né pause di riflessione, e che lo porterà a rovinarsi pur di ottenere giustizia. E quando negli ultimi fotogrammi del film il giudice fallimentare gli chiede cosa sia successo, e come abbia fatto a ridursi così, il sorriso limpido e silenzioso con cui risponde vale più di qualunque discorso.

Il film ha il pregio di essere molto realistico, mai retorico, e di mostrare senza reticenze le disavventure di Jan, che non viene mai dipinto come un eroe, ma come un uomo che lotta perché sa di avere dalla sua parte la ragione, contro uno studio legale più che preparato e senza scrupoli, che non esita ad imbrogliare pur di vincere. In un certo senso ricorda Il verdetto, nella lotta impari tra Davide e Golia, ma qui il protagonista fa il percorso inverso: per amore della verità e della giustizia, mette a rischio fama e ricchezza fino a sprofondare nel baratro del fallimento.

La sceneggiatura non ci risparmia i dialoghi strazianti ma realistici tra i parenti delle vittime, costretti a rivivere il proprio dramma, e gli avvocati delle società incriminate, freddi, spietati, intenzionati a sostenere una difesa impossibile, arrivando a colpevolizzare le vittime stesse. La regia però è molto lucida, distaccata, quasi documentaristica, e non indulge mai sul particolare lacrimevole anche se sarebbe molto facile.

L’avvocato della controparte è uno splendido e odioso Robert Duvall, che per la sua interpretazione vinse l’Oscar, meritatissimo, come miglior attore non protagonista: riesce infatti a tratteggiare tutte le gradazioni di questo personaggio alquanto singolare, fondamentalmente cinico e misantropo, ma con improvvisi e imprevedibili lampi di sarcasmo, che lo rendono quasi simpatico.

Accanto ai due colossi di Hollywood, una lunga serie di attori più o meno noti, ma tutti più che convincenti, a cominciare da John Lithgow, nella parte del giudice, severo, arrogante, e tutt’altro che imparziale, e poi William Macy e Tony Shalhoub, i soci di Jan, che lo accompagnano nella sua disastrosa avventura fin quasi al fallimento.

James Gandolfini dipinge, con la sensibilità che gli era consueta, il personaggio di un operaio della fabbrica incriminata, che potrebbe testimoniare contro i datori di lavoro, ma è combattuto tra il desiderio di aiutare i concittadini a vincere la causa, e la paura di perdere il posto; pur  essendo un personaggio minore, Gandolfini ne fa un ritratto intenso e toccante, con la sua espressività fatta di sguardi e significativi silenzi. Kathleen Quinlan invece rappresenta la madre di una delle piccole vittime, che affronta il suo dramma con grande dignità; quando verso la fine gli avvocati lamenteranno davanti ai clienti insoddisfatti di essere sul lastrico e di aver perso tutto per patrocinare la causa, sarà lei a  rispondere con fermezza e indignazione: “Con che coraggio vi permettete di paragonare quello che avete perso voi, con quello che abbiamo perso noi?

A civil action è una delle migliori storie giudiziarie viste al cinema, purtroppo tragicamente attuale, e ancor più tragicamente vera, che racconta con disarmante realismo una battaglia legale e umana dai contorni epici, di cui il protagonista, inconsapevole eroe, è al tempo stesso vincitore e vinto. E un avvocato così non si vede spesso, soprattutto nella realtà

30 pensieri riguardo “A civil action (1998)

        1. Lo è, anche perché la questione alla fine si risolve bene, almeno a livello di giustizia. Purtroppo non per l’avvocato, ma ha comunque una sua rivincita morale. Fa piacere, soprattutto perché è una storia vera.

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    1. E’ chiaro che i film si fanno da storie interessanti, casi giudiziari particolari, come ad esempio O. J. Simpson. E le cause per risarcimenti più o meno sono sempre uguali.

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          1. Figurati, viviamo in una società nella quale molti sono subito pronti a giudicare, puntando il dito contro, ma difficilmente esprimono un giudizio o un pensiero di valore o fanno un complimento. Io sono un tipo un po’ in controtendenza, quando qualcuno o qualcosa mi piace lo dico! 🏆🌷

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