Stephen King ha la capacità di trasformare in incubi terrificanti le situazioni più banali, non senza usare una certa ironia. Cosa ci può essere di più innocuo di un’ammiratrice entusiasta che casualmente si imbatte nel suo idolo? Solo il genio perverso di King poteva trasformare un’appassionata lettrice di romanzi rosa in una fredda e brutale squilibrata, dall’aspetto inoffensivo, ma capace delle più crudeli efferatezze. Sfruttando un’ambientazione claustrofobica e un cast perfetto, il regista Rob Reiner trasforma il romanzo di King in un thriller eccellente.

In seguito ad un incidente d’auto, un famoso scrittore, noto soprattutto per una serie di libri d’amore incentrati sul personaggio di Misery, viene soccorso da un’infermiera che lo porta a casa sua, poiché le strade sono bloccate dalla neve. L’incidente gli ha causato numerose fratture scomposte, e lo scrittore rimane perciò, suo malgrado, ospite dell’infermiera, che nel frattempo si rivela essere una sua grande ammiratrice e un’appassionata lettrice delle avventure di Misery. Quando la donna scopre che nell’ultimo libro, ancora da pubblicare, l’autore fa morire il personaggio di Misery, improvvisamente si rivela in tutta la sua follia, e, da persona mentalmente instabile qual è, sequestra lo scrittore, costringendolo a riscrivere il romanzo, per far resuscitare Misery.

Credo che il film, e soprattutto il romanzo, siano talmente conosciuti che tutti sanno come finisce l’incubo del malcapitato scrittore, comunque non rivelerò il finale. Il film e il libro di Stephen King da cui è tratto sono incentrati su un duplice tema: quello dello scrittore, vittima della sua stessa fama, quasi un novello Frankenstein perseguitato dalla sua creatura, sia pure virtuale, e quello del rapporto tra i personaggi famosi e i loro fan, laddove l’ammirazione può trasformarsi rapidamente in ossessione e addirittura in odio se il pubblico si sente in qualche modo tradito dal proprio idolo.

Ma c’è anche un altro tema tra le righe, ed è quello dello scrittore di successo che arriva ad odiare la propria creatura al punto da volerla eliminare, per liberarsi dalla sua ingombrante presenza e poter scrivere qualcosa di diverso. Un po’ come gli attori che diventano famosi recitando un ruolo, magari di poco spessore, e poi non vedono l’ora di liberarsene per poter dimostrare di saper recitare qualunque cosa. Così Misery, l’eroina del libro scritto dal protagonista, è diventata per lui un personaggio scomodo, ormai inutile, ora che lo scrittore ha raggiunto la fama e vuole dimostrare di saper scrivere storie importanti. E ingenuamente crede di potersene liberare, facendola morire nel suo ultimo romanzo.

Ma non ha fatto i conti con la povera Annie, una ragazza anonima, banale, perseguitata dalla vita che non è stata molto generosa con lei; l’unica sua gioia è poter leggere le avventure di Misery, e vivere attraverso di lei tutte quelle emozioni che ha sempre sognato. Di fronte alla prospettiva di perdere la sua eroina, che per lei è una specie di alter ego, si scatenerà una furia cieca e incontenibile, che non sente ragioni e che supera di gran lunga l’ammirazione per lo scrittore. Dunque l’idolo di Annie non è tanto lo scrittore, quanto il prodotto della sua arte.

E se inizialmente Annie soccorre e accudisce lo sfortunato Paul Sheldon con sollecitudine e affetto, dichiarandosi la sua più grande ammiratrice, si trasforma poi rapidamente, rivelandosi per quello che è in realtà, cioè un’adoratrice di Misery, pronta a riscattarne l’eliminazione e a farla tornare in vita a qualunque costo. Il film è claustrofobico, tutto racchiuso tra le quattro mura dell’abitazione di Annie, dove Sheldon viene tenuto prigioniero e sottoposto a inimmaginabili torture, fisiche e psicologiche.

L’isolamento della casa, già di per sé fuori dal mondo, è aumentato dalla presenza della neve che la circonda. Successivamente si assiste allo scioglimento della neve e al susseguirsi delle stagioni, attraverso la finestra della stanza dove Sheldon viene tenuto rinchiuso, per dare la misura del tempo che passa e aumentare il senso di angoscia che attanaglia il protagonista. Il regista riesce a rendere perfettamente le atmosfere agghiaccianti del romanzo, restituendo tutta la tensione e la suspense della storia, anche grazie ai due formidabili interpreti.

Kathy Bates, giovane e allora quasi sconosciuta, è insuperabile nel ruolo della psicopatica, di cui dipinge sapientemente le mille sfaccettature, dalla dolcezza a tratti infantile fino alla crudeltà più estrema, che rasenta il sadismo, il tutto condito da una lucida follia che riesce a creare suspense anche nei momenti in cui l’atmosfera è più distesa. C’era il concreto rischio che ne uscisse una caricatura, soprattutto per la goffa fisicità del personaggio, ma la Bates ne fa un ritratto quanto mai realistico.

Non le costò poco questa interpretazione, se è vero che nelle scene più drammatiche, come quella in cui distrugge a martellate le caviglie del suo malcapitato ospite, la Bates scoppiò più volte a piangere per la tensione. Ma lo sforzo fu ampiamente premiato: il ruolo le valse un meritatissimo Oscar e il Golden Globe come miglior attrice protagonista, e la fece conoscere sulla scena internazionale come interprete di prima grandezza, anche se per un po’ le rimase appiccicata l’etichetta della psicopatica.

James Caan, fino ad allora conosciuto per ruoli forti come quello di Sonny nel Padrino, ci regala qui un personaggio profondamente umano, con tutte le sue debolezze, alle prese con sofferenze fisiche e psicologiche in cui facilmente ci si immedesima: un uomo che improvvisamente deve fare i conti con i propri limiti e con un’inferiorità fisica a cui non era abituato. Caan non può fare molto, perché il suo ruolo gli impone fastidiose limitazioni, costringendolo a letto per la maggior parte del film. Tuttavia lo sconforto e l’angoscia si leggono letteralmente sul suo volto, e riesce a dare al personaggio di Paul Sheldon grande realismo, ma soprattutto un’umanità che si riscontra nelle sue grida di dolore e nei suoi disperati tentativi di fuga.

La tensione rimane altissima per tutto il film, intervallata solo dai brevi siparietti comici creati dai personaggi di contorno, soprattutto le battute sarcastiche dello sceriffo e sua moglie, interpretati da Richard Farnsworth e Frances Sternhagen. I personaggi secondari sono quelli ai quali si lascia più libertà di ironia, proprio per aumentare il contrasto con la drammatica situazione di Sheldon e le atmosfere agghiaccianti di casa Wilkes. Lauren Bacall, invece, si distingue in un prezioso cameo, regalando la sua classe all’agente letteraria di Sheldon.

Al regista, invece, va riconosciuta una straordinaria abilità: non è da tutti confezionare un film quasi interamente girato in un unico ambiente, un vero e proprio thriller in una stanza; è un’operazione cinematografica che ricorda Nodo alla gola di Hitchcock. Eppure, Misery non deve morire inchioda allo schermo ed è un thriller praticamente perfetto, dove ogni dettaglio si incastra nel punto giusto e al momento giusto, creando uno spettacolo di ansia, terrore, e dolore puro, che persiste fino alla fine. Un horror dove i mostri non vengono da un’altra dimensione né dall’inconscio, ma sono più che mai reali e terreni, e non per questo meno spaventosi.
Un film davvero bello che tiene attaccati allo schermo dall’inizio alla fine pur svolgendosi sempre nello stesso ambiente come hai specificato. Bella recensione ☺️
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Grazie!
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Mi venne regalato il romanzo quando avevo 17 anni (da una che affermò che non lo avrebbe mai letto perché le faceva molta, troppa paura). Per anni lo considerai il romanzo più bello tra quelli letti (chissà se a rileggerlo oggi che sono adulto lo troverei così perfetto).
Sul film invece non sono entusiasta quanto te e trovo che gli manchi qualcosina, non saprei dire dove. Forse è troppo breve e avrebbe potuto approfondire maggiormente alcune situazioni.
Certo la Bates lo tiene su praticamente da sola… 😉
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Non sei il primo che si dichiara insoddisfatto del film, rispetto al romanzo. Ho letto che Reiner avrebbe voluto Nicholson al posto di Caan, e forse il film ci avrebbe guadagnato. Ma Nicholson rifiutò, per non legare la sua faccia ai thriller di King.
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Interessante. Beh… anche io ci avrei visto meglio Nicholson. Così il film avrebbe avuto due “prime donne”. Con tutto l’affetto per Caan, infatti, non è colpa sua ma la sua interpretazione finisce per esser secondaria rispetto a quella della Bates
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Infatti il suo personaggio è un po’ scialbo.
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Oltre al film di Rob Reiner con Kathy Bates e James Caan del 1990, ho visto nel novembre scorso al Teatro Menotti di Milano la versione teatrale, protagonista una straordinaria Arianna Scommegna, con Aldo Ottobrino per la regia di Filippo Dini. Avevo recensito lo spettacolo sul mio blog. Ecco il link: https://carlotomeolibero.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=13135&action=edit
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In effetti si presta bene per una rappresentazione teatrale. Purtroppo WordPress non mi permette di aprire il tuo link…
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Un gran bel film in tutto, in una via di mezzo tra opera teatrale e film cinematografico. In special modo ho apprezzato la performance di Bates, che ritengo una delle attrici più versatili che abbia mai visto.
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Lei è stata bravissima, anche se ho letto che ha sofferto molto per le scene più violente. Si vede che ha faticato a immedesimarsi in un personaggio così. Da allora l’ho seguita nella sua carriera e non mi ha mai deluso.
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Potrebbe essere uno spunto per un tuo capitolo, le scene più difficili per gli attori e le attrici.
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Se trovo abbastanza materiale, lo faccio. Grazie per l’idea!
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Un film che considero tra quelli da vedere almeno una volta nella vita (anche se ancora devo guardarlo), c’è da dire che se per tnati Stephen King è tra gli autori maggiormente in grado di spaventare, è proprio perché riesce a calare nella realtà le sue storie
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Infatti, Annie potrebbe essere la nostra vicina di casa…
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Buon giorno 2 Lei è bravissima tifavo per lei-
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Ne ero sicura
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Porto nel cuore il romanzo, che mi ha inchiodato dalla prima all’ultima pagina. E per fortuna l’ho letto dopo il film, così prima mi sono gustato la versione filmica, con relativi speciali e notte degli Oscar (che all’epoca ancora seguivo) poi mi sono goduto il romanzo. Quando leggo prima il libro e vedo poi il film, ci rimango sempre male quindi è bene sia accaduto il contrario 😉
Io sono fra quelli che ha sempre mal sopportato i “falsi cliffhanger”, quando cioè un episodio finiva con una situazione di pericolo che invece poi, all’inizio di un altro episodio, si scopre essere del tutto diversa, quindi ho subito empatizzato con Annie Wilkes, che annovera questa cosa fra i difetti che attribuisce agli scrittori seriali 😛
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All’epoca lo vidi 2 volte.
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Indimenticabile la scena in cui lei si accorge che lui ha tramato alle sue spalle dalla statuetta di un pinguino fuori posto.
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E’ un film curatissimo nei minimi particolari.
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Va detto che il fatto di essere basato sul romanzo di un fuoriclasse aiuta molto, ma tante volte abbiamo visto un brutto film tratto da un bel libro, quindi è comunque un merito il fatto di aver saputo sfruttare le potenzialità cinematografiche del romanzo di Stephen King. Grazie per la risposta! 🙂
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a volte mi sorprendono le tue visioni, non è un genere troppo ansiogeno e oppressivo per te?
cmq la Bates bravissima anche se cmq non ha mai smesso di fare horror, basti pensare alle sue partecipazioni a American Horror Story
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Non lo considero un horror, ma un thriller. A me non ha fatto paura. La Bates ha fatto anche commedie divertenti comunque.
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Si lo so, molto simpatica 🙂
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Sei sempre molto brava, Raffa, non perdi un colpo!
Devo dire che Kathy Bates è un’attrice molto particolare.
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