Mad city – Assalto alla notizia (1997)

Dopo che Tarantino ebbe sdoganato Travolta nel ruolo del gangster in Pulp fiction, per l’attore si aprì una nuova carriera, del tutto indipendente dal successo ottenuto con La febbre del sabato sera e Grease. Da allora, Travolta ha dato prova di notevoli qualità drammatiche, riacquistando grande popolarità e diventando uno degli attori più richiesti. Questo film gli ha dato modo di esprimersi appieno in un ruolo complesso e tutt’altro che facile. Accanto a lui il veterano Dustin Hoffman e un comprimario di lusso come Alan Alda, sotto l’impeccabile regia di Costa-Gavras, danno vita ad una storia di spietata caccia all’audience, tanto paradossale, quanto, purtroppo, realistica, e quanto mai attuale.

Travolta è Sam, un uomo disperato che è stato licenziato e reagisce al licenziamento imbracciando un fucile. Ha una moglie, un mutuo, un Q.I. basso e due figli. Fa irruzione armato nel museo dove lavorava come guardia giurata, nella speranza di essere ascoltato e riassunto. Ma porta anche la dinamite, per farsi ascoltare meglio. Nel museo prende in ostaggio una scolaresca in visita e un giornalista, Max, il quale cerca di gestire come può la storia che gli è capitata tra le mani. Hoffman è Max, un cronista d’assalto ormai in declino, a caccia dello scoop che possa salvarlo dalla rovina. Quando un colpo di fucile esploso per sbaglio ferisce l’altra guardia del museo, la situazione potrebbe precipitare, ed è allora che il giornalista interviene, cercando di guadagnare la fiducia di Sam.

Mentre questo accade all’interno del museo, fuori si assembrano giornalisti e polizia, cercando di capire cosa sta succedendo. E’ subito chiaro come la TV gestisce questa storia, che, ormai, si è trasformata in una manna d’oro per la rete, con la guardia ferita che lotta per la sua vita in ospedale e i genitori dei bambini in preda al panico e infuriati. Max, che ha visto tutto, riconosce che l’intera faccenda è stata un errore e che Sam è innocente, così si offre di intervistarlo perché possa spiegare al mondo le sue ragioni. All’inizio non si capisce bene se sta sfruttando Sam per i propri fini, o se si prende davvero cura dei suoi interessi, ma diventa più chiaro con l’avanzare della crisi.

L’arma è in mano a lui, ma sarà Max a mettere le vite degli altri in pericolo con un assurdo teatrino, dove è l’indice di gradimento che rischia di premere il grilletto. Mentre la posta in gioco si fa sempre più alta col passare delle ore, la linea di confine tra buoni e cattivi diventa sempre meno chiara. Alla fine, inevitabilmente, qualcuno dovrà pagare il prezzo della follia che sembra essersi impossessata di tutti.

Hoffman gioca stretto, come il miglior giocatore di poker, concentrato e imperscrutabile. Travolta passa abilmente dalla rabbia scomposta di chi ha subito un’ingiustizia, allo sconforto di chi si trova in una situazione disperata e non sa come uscirne. Ma sopra ogni altra cosa domina la vacuità morale e l’ambizione spietata del giornalismo televisivo, che non esita a tagliare e ridurre la verità, per adattarsi alla notizia, come un lavoro di montaggio. Fondamentale sotto questo aspetto è il personaggio interpretato da Alan Alda, un conduttore televisivo senza scrupoli, disposto a tutto per uno scoop in prima serata.

La morale del film, che lo rende tragicamente attuale, è che la televisione, e soprattutto il giornalismo cinico che ne è il prodotto, sono una vera e propria minaccia, più ancora che le armi stesse. Costa-Gavras, però, questa volta sembra essere un po’ in ritardo: sulla televisione e sulla sua forza devastante, film come Quinto potere e Dentro la notizia (senza contare il celebre L’asso nella manica di Billy Wilder, che ha anticipato il discorso di molti anni), sembrerebbero aver già detto tutto. Inoltre certe somiglianze con Quel pomeriggio di un giorno da cani di Lumet potrebbero far pensare a qualcosa di già visto.

Tuttavia qui la storia è sviluppata in modo diverso e narrata con un ritmo intenso e coinvolgente. L’elemento determinante sono i due protagonisti: da una parte Travolta che indossa i panni di uno mediocre uomo comune, afflitto da un’ingenuità disarmante e da un’intelligenza limitata, che contrasta nettamente col fucile dietro a cui nasconde le proprie insicurezze; dall’altra un Dustin Hoffman in stato di grazia, combattuto tra la volontà dello scoop a tutti i costi, e il desiderio di ascoltare quel barlume di coscienza che ancora gli è rimasto, dietro il tesserino di giornalista.

Il film ripropone dunque il dilemma dell’assalto alla notizia e della mancanza di moralità dei mass media, ma riesce a coinvolgere lo spettatore mettendo in scena la salita e la successiva caduta del protagonista, mostrandone, direi attimo per attimo, il lento e inevitabile progredire. In sostanza, anche se la storia non brilla per originalità, viene proposta da un punto di vista completamente diverso. Inoltre la regia alterna sapientemente l’atmosfera quasi calma che si crea all’interno del museo, man mano che il tempo passa, e la concitazione creata all’esterno da giornalisti e poliziotti.

Mentre le critiche furono in generale più che positive, il film incassò poco al botteghino, diventando, di fatto, uno dei peggiori flop della carriera di Hoffman. Nel complesso penso sia un film da rivalutare, sia per le prove degli attori, sia per la regia più che dignitosa, sia soprattutto per la storia, che ci mostra i lati più nascosti di una realtà che forse non vorremmo conoscere, perché quel “siamo stati noi” ripetuto da Hoffman negli ultimi fotogrammi, ci fa sentire tutti responsabili.

11 pensieri riguardo “Mad city – Assalto alla notizia (1997)

  1. “uno dei peggiori flop della carriera di Hoffman”, ah non per quella di Travolta; è vero, c’è Battaglia per la terra per quel record 😆
    questo film è stato per Travolta quello che Mamma mia! è stato per la Streep: un nuovo inizio di carriera in territori finora inesplorati

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