Il caso Thomas Crawford (2007)

Un thriller intelligente e molto ben congeniato che incuriosisce lo spettatore e mantiene alta la tensione, attraverso una serie di svolte e di colpi di scena disseminati con ottimo tempismo. E anche la scelta del protagonista, il colpevole dichiarato fin dall’inizio, è geniale. Un uomo anziano, all’apparenza sconfitto dalla vita e dall’aspetto innocuo, che si rivela un criminale astuto e crudele.

Thomas Crawford è un ingegnere aerospaziale, che si occupa principalmente di trovare il punto debole dei velivoli. Se c’è un difetto, anche microscopico, che possa compromettere la struttura di un aereo e metterne a rischio la sicurezza, lui ha il compito di trovarlo. Un perfezionista, dunque, addestrato a riconoscere l’imperfezione. Non meraviglia certo che il suo piano per uccidere la giovane moglie infedele sia a prova di bomba: Crawford studia con cura ogni dettaglio per commettere il delitto e farla franca. Ma non basta: organizza le cose in modo da far accusare l’amante della moglie, che, non a caso, è il poliziotto a cui confessa placidamente il delitto appena compiuto.

Questo è l’inizio travolgente di un thriller che riserva non poche sorprese, senza però mai perdere di vista la realtà dei fatti. Lo spettatore ha ben chiaro fin dall’inizio chi è il colpevole, perché lo ha visto commettere il delitto; non siamo dunque davanti a un giallo in cui bisogna scoprire il responsabile, ma a un thriller in cui si aspetta con ansia che il colpevole sia inchiodato alle sue responsabilità, mentre lo vediamo liberarsi senza difficoltà, e con insopportabile arroganza, dalle mani della giustizia.

Uno dei ruoli più antipatici di Anthony Hopkins, che rende magnificamente i tratti caratteriali, e soprattutto le debolezze, del suo personaggio; molto più facile provare simpatia per Hannibal, che aveva comunque un suo perverso senso dell’onore, che per quest’uomo freddo e calcolatore, fastidiosamente pieno di sé, vigliacco e spietato fino alla fine. E sarà incommensurabile la nostra soddisfazione nel vederlo capitolare, alla fine, proprio a causa della sua crudeltà, unico punto debole di un piano praticamente perfetto.

Ryan Gosling dipinge il giovane assistente distrettuale molto ambizioso, che ha bisogno di risolvere questo caso per spiccare il salto verso un prestigioso studio legale, disposto ad assumerlo. Tuttavia le sue motivazioni si trasformeranno via via in una ricerca sempre più affannosa di giustizia; inizia la causa per aggiungere una vittoria al suo curriculum, ma diventa ben presto vittima dell’ossessione di incastrare Crawford. Tutto il film si regge sullo scontro tra questi due personaggi, fatto di dialoghi taglienti sostenuti da sorrisetti beffardi e odiosi ammiccamenti, tra l’arroganza del primo, che si considera al sicuro, e la smania sfrenata del secondo, desideroso di incastrarlo.

In questo senso il film diventa un affascinante duello psicologico, in cui Hopkins mette talmente tanta classe, con i suoi modi affabili e un’ironia sorniona da vecchia volpe, da riuscire quasi più simpatico del procuratore ambizioso e narcisista. Comunque non si può non desiderare la sua giusta punizione. Nella gara di bravura e antipatia tra i due protagonisti, si inserisce con difficoltà Billy Burke, nel ruolo del poliziotto, amante della donna uccisa, ruolo che avrebbe potuto essere molto più vivace e colorito, o almeno interessante, se sostenuto da un altro interprete; ma Burke lo appiattisce rendendolo il più insipido degli amanti.

Per fortuna ci sono le bellissime performance di Rosamund Pike e di David Strathairn, che contribuiscono ad alzare il livello del film. Il regista, Gregory Hoblit, che ha firmato altre storie ambientate nei tribunali, come Schegge di Paura e Sotto corte marziale, ha un tocco elegante e formale, senza particolari guizzi artistici, ma qui ci regala alcune inquadrature particolarmente sofisticate, sempre comunque integrate con la trama.

Sebbene sia tutt’altro che perfetto, è un thriller stimolante e imprevedibile, grazie a una sceneggiatura interessante ed equilibrata, che non contiene buchi né sviste, a un’ottima regia che valorizza gli attori e a un cast notevole e ben amalgamato. Una storia semplice, ma mai banale né noiosa, con un finale liberatorio che si fa perdonare la durata forse un po’ eccessiva.

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