Americani (1992)

Uno degli slogan di questa pellicola così recita: “Nella vita, vendere è la cosa più difficile”. Credo che nessuno abbia molta simpatia per i venditori telefonici, quelli che ti disturbano di solito all’ora di pranzo proponendo offerte che appaiono allettanti, ma che in realtà sono vantaggiose solo per loro. Dopo aver visto questo film, forse cambierete idea. Non nel senso che vi risulteranno più simpatici, anzi, tutt’altro, ma forse vi renderete conto di quanto miserevole possa essere la loro esistenza.

Americani è uno scorcio affascinante nella vita di un gruppo di uomini disperati che lavorano come agenti immobiliari: gente che si guadagna da vivere cercando di rifilare proprietà immobiliari a persone che non hanno nessuna intenzione di comprare e che, in qualche caso, non ne hanno neppure le possibilità economiche. Il compito dell’agente, dunque, è convincere degli sconosciuti a fare un investimento che probabilmente li manderà in rovina, o comunque, non li arricchirà come gli si vuol far credere. E per riuscire a convincere il potenziale cliente, qualunque mezzo è consentito, dalla lusinga alla menzogna vera e propria, senza alcuna pietà per la malcapitata vittima.

Ma il pregio del film, tratto da una pièce teatrale di David Mamet che gli è valsa il Premio Pulitzer, è di mostrarci tutta la miseria umana che si trova all’altro capo del filo telefonico: l’agenzia immobiliare, infatti, sta attraversando un brutto periodo e per salvarsi da una difficile situazione economica lancia una sfida a tutti i suoi dipendenti. Chi riuscirà a vendere di più avrà in premio una Cadillac Eldorado, il secondo riceverà un servizio di coltelli da bistecca, ma per tutti gli altri sarà licenziamento immediato. Panico e rabbia si scatenano tra i dipendenti, che tra l’altro non sono più giovanissimi, e ognuno ha una serie di problemi personali da affrontare, per cui il licenziamento sarebbe una vera tragedia.

Sfodereranno tutte le loro arti più subdole per riuscire a vendere i loro prodotti, senza nessuna pietà per i colleghi, né tantomeno per i clienti. Chiara l’impostazione teatrale del film, quasi tutto girato all’interno dell’agenzia immobiliare, eppure la sceneggiatura, scritta dallo stesso Mamet, gli conferisce una vivacità d’insieme che fa scorrere le immagini con un ritmo quasi frenetico, senza momenti di stanchezza, grazie a dialoghi serrati, che ipnotizzano lo spettatore senza dargli tregua.

Non è sicuramente un film d’azione, anzi, non succede quasi nulla, ma è un film di dialoghi, parole come fiumi in piena che ci trascinano nelle vite di questi personaggi e ne rivelano pian piano le sfumature del carattere, e le loro piccole grandi tragedie. I venditori parlano tra loro, discutono con i potenziali clienti e con il responsabile dell’ufficio, e ogni volta cambia il registro delle loro conversazioni, il tono della voce, la scelta delle parole, e lo spettatore assiste in tempo reale a questo progressivo disvelarsi, arrivando alla fine a conoscerne la vera anima. Perché possono fingere coi colleghi, mentire ai clienti e al capo, ma non possono ingannare se stessi, e neppure il pubblico.

Chiaramente siamo di fronte a un film di attori e il cast è fenomenale: Jack Lemmon, Al Pacino, Kevin Spacey, Ed Harris, Alec Baldwin, Alan Arkin e Jonathan Pryce. Lemmon interpreta Levene, il venditore più anziano, detto “la macchina”, perché un tempo era il migliore e riusciva a portare a casa contratti firmati senza difficoltà; ora però sembra aver perso il tocco magico, e ispira compassione anche perché ha una figlia malata a cui provvedere. Agli antipodi si trova Roma, il personaggio interpretato da Al Pacino, il nuovo venditore di punta dell’agenzia, giovane, brillante, dalla parlantina travolgente e sfacciatamente sicuro di sé.

In mezzo ci sono Moss e Aaronow, interpretati rispettivamente da Ed Harris e Alan Arkin, venditori mediocri, buoni soprattutto a criticare e a fantasticare su un colpo ai danni dell’agenzia. Il colpo si farà, ma non saranno loro gli artefici.
Su tutti si aggira l’ombra di Kevin Spacey, il responsabile dell’ufficio, cinico e spietato, che non esita a umiliarli e a distruggerli verbalmente senza nessuno scrupolo, nonostante sia più giovane di quasi tutti. In questo gioco al massacro senza esclusione di colpi, si trova coinvolto suo malgrado Jonathan Pryce, un ingenuo cliente che viene letteralmente sedotto e convinto a firmare dalla parlantina di Roma.

Ci sono momenti meravigliosi che coinvolgono i vari personaggi, ma una delle scene più straordinarie del film è quella che riguarda il personaggio di Blake, ruolo scritto appositamente per Alec Baldwin e che non esisteva nell’opera originale. Blake è stato inviato dalla sede centrale per informare i venditori che le vendite sono calate, i loro risultati sono scarsi e quindi il loro posto di lavoro è in pericolo. Alec Baldwin appare in questo ufficio in un pomeriggio piovoso, e prende il controllo completo del film per 7 minuti consecutivi, dominando la scena con un monologo tonante. Dopodiché sparisce, lasciandoci i personaggi in balia delle loro ansie.

Il regista James Foley non segue una trama sofisticata, ma racconta la sua storia esclusivamente attraverso i personaggi, e poiché non hanno alcuna possibilità di uscire dalla loro situazione, le emozioni represse non trovano sfogo, ma piuttosto si fanno strada sempre più in profondità nei personaggi. La piovosa New York che fa da sfondo alla vicenda e la colonna sonora jazz che supporta i dialoghi riportano alla memoria le atmosfere dei film noir, e mettono volutamente in luce gli aspetti più negativi del sogno americano.
Considerando la difficoltà di trasporre sullo schermo un’opera nata per il teatro, il risultato di Foley è una grande prova di stile, che nasce e si sviluppa grazie ad un cast brillante e ad una sceneggiatura di gran classe, e ha il pregio di riuscire a rendere i venditori se non meno odiosi, per lo meno molto più umani.

29 pensieri riguardo “Americani (1992)

  1. La vendita è una delle attività più disumane che io abbia avuto modo di conoscere; l’ho appena sfiorata, ma me ne sono tenuta ben alla larga appena ho capito come funzionasse. La smania di arrivare, di avere successo spinti da un’organizzazione che ha un unico scopo, ovvero quello del profitto massimo, a discapito di qualsiasi altra cosa, pena la disfatta, è qualche cosa di davvero agghiacciante. Non c’è nulla di umano in questo meccanismo. UN film di questo tipo può rivelare realtà altrimenti nemmeno mai prese in considerazione e secondo me questo è un grande merito. Con un cast di questo tipo, poi, l’effetto è decisamente efficace. Grazie per questa recensione.

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    1. Ricordo quando lo vidi la prima volta mi colpì moltissimo, anche perché gli attori sono talmente bravi che l’effetto è assolutamente realistico, ed è impossibile non restarne coinvolti. Peggio di un film di guerra.

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  2. ti piace proprio Spacey eh
    cmq mi sembra pigro che l’adattamento di una piece teatrale non si allontani dalle 3 mura di un ufficio eh… se mettiamo al posto della cinepresa la platea è praticamente la traslitterazione del palco teatrale

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  3. Un film superlativo da ogni punto di vista, tutti gli attori bravissimi, ottima regia, sceneggiatura perfetta ripresa da un dramma teatrale molto bello ecc.
    Anche io ho fatto a suo tempo un post su questo film, se ti va vedilo. Bella recensione la tua, come sempre.

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