Presunto innocente (1990)

Tratto dal romanzo omonimo di Scott Turow, è un thriller ben costruito, con una discreta suspense, pervaso da una certa morbosità e da un’atmosfera sensuale e accattivante, ma è anche un ottimo dramma processuale. La storia ruota attorno al protagonista, un vice procuratore a cui viene affidata l’indagine per l’omicidio di un’affascinante collega con cui aveva avuto una turbolenta relazione extraconiugale. Durante l’indagine avrà modo di scoprire dettagli della sua vita privata che avrebbe preferito ignorare, e a un certo punto si troverà ad essere il principale sospettato.

Viene dunque accusato del brutale omicidio, anche se le prove contro di lui sono solo indiziarie, e apparentemente non c’è alcun movente. Si affaccia anche l’ipotesi di un complotto politico. Durante l’indagine che condurrà personalmente per difendersi dall’accusa, avrà modo di rimettere in discussione l’ossessione amorosa che provava per l’ex amante, ma anche il proprio rapporto con la moglie, ingiustamente trascurata e decisamente sottovalutata. Sostenuto proprio da lei, che nonostante tutto sembra averlo perdonato, e difeso da un collega con cui si è spesso scontrato in tribunale, riuscirà a venire a capo della faccenda, ma non a uscirne indenne.

Diciamo subito che la prima parte del film è la meno riuscita, soprattutto per i flashback che si alternano in modo confuso al presente, e si fa un po’ fatica a seguire il filo della vicenda. È illuminata però dalla sensualità di Greta Scacchi, in un ruolo difficilmente dimenticabile che le calza a pennello, e dalla notevole presenza scenica di Brian Dennehy, che disegna un personaggio sufficientemente antipatico e opportunista. In questa prima metà del film, tuttavia, c’è un accavallarsi affannoso di indizi e di particolari che man mano si scoprono sulla vittima che, se da una parte infittiscono il mistero e accrescono la tensione, dall’altra tendono a generare confusione.

Nella seconda parte, quella processuale, le cose si fanno via via più chiare, pur mantenendo centrale il personaggio enigmatico dell’indagato che appare sempre più al centro di un complotto, anche se si ignora chi ne tiri le fila. Le scene girate in tribunale sono dominate da Raúl Juliá, talmente bravo da mettere in ombra Ford che, dopo essersela giocata alla pari con Dennehy e la Scacchi nella prima metà del film, sembra tenersi in disparte nel momento del processo, per poi tornare ad accentrare tutta l’attenzione su di sé nel finale, accanto ad una intensa Bonnie Bedelia.

Un Harrison Ford in gran forma, che fa di tutto per scrollarsi di dosso il personaggio di Indian Jones e la sua simpatia, rendendosi antipatico e quindi sospettabile fino alla fine, ma si muove agilmente tra le maglie della rete tesa per incastrarlo, e ci porta lentamente fino al colpo di scena finale, imprevedibile quanto ben congegnato, che spiega ogni cosa e risponde a tutte le domande dello spettatore. Alan Pakula, lavorando alla sceneggiatura tratta dal romanzo omonimo, crea un buon dramma legale che però presenta gli stessi difetti del libro.

La vicenda principale è infatti appesantita da tutte una serie di questioni di minor importanza, come ad esempio la rappresentazione della vittima come una donna arida e opportunista che usa gli uomini per fare carriera. Dettaglio interessante, certo, ma non di rilievo per la soluzione dell’enigma; sembra quasi una scusa per dare più spazio a Greta Scacchi, mentre sarebbe forse stato più interessante approfondire il personaggio della moglie che rimane, invece, in ombra.

Allo stesso modo la preoccupazione del procuratore capo per la propria rielezione e tutto l’aspetto politico della vicenda complicano ulteriormente la trama, senza migliorarne lo svolgimento.
Dove invece il film rasenta la perfezione è la parte processuale, che non solo ci offre uno sguardo disincantato del sistema giudiziario americano, ma dà ampio spazio a Raúl Juliá che domina la scena, aggirandosi nell’aula di tribunale come un gladiatore nell’arena, giocando con i testimoni e cogliendoli in fallo nelle loro dichiarazioni.

E poi c’è la conclusione della vicenda, dopo la fine del processo, che rappresenta il vero colpo di genio del regista: dopo le aule del tribunale, la scena si sposta nella casa del protagonista, tra le mura domestiche, dove assistiamo a quello che sembrerebbe un lento ritorno alla normalità. E invece c’è ancora spazio per un colpo di scena di quelli che lasciano senza parole, che riesce ad annichilire lo spettatore con una calma inquietante, senza cercare il climax, ma spiegando e descrivendo, dettaglio dopo dettaglio, come si sono svolti i fatti, lasciandoci con la sensazione che in qualche modo giustizia è stata fatta, anche se non in tribunale.

Giustizia non per la vittima, certo, che nel corso del film ha subito diverse trasformazioni, diventando gradatamente un’opportunista senza scrupoli e infine un danno collaterale. Il suo omicidio resterà impunito ma per lei, alla fine, nessuno è più disposto a versare una lacrima.
Nel complesso è un ottimo thriller, che sicuramente sorprende chi non conosce la storia, ma di certo non delude neppure chi ha letto il libro, con un ritmo talmente vivace che si rivede sempre volentieri e riesce ogni volta a emozionare.

24 pensieri riguardo “Presunto innocente (1990)

  1. L’ho già visto un paio di volte diverso tempo fa … Mi sa che me lo riguardo alla luce delle tua recensione, con maggiore occhio critico e analizzando quello che hai messo in luce … Fai davvero un ottimo lavoro … Grazie.

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  2. In famiglia l’abbiamo visto alla sua uscita e ci era piaciuto, poi ultimamente è riapparso negli archivi Mediaset e mi sono rivisto una sua replica, gustandomelo di nuovo, forte del fatto che per fortuna non ricordavo la fine 😛 Sono di parte, adoro il legal thriller, ma oggettivamente mi sembra un ottimo film, per nulla invecchiato.

    Una curiosità. Sai che c’è un mistero intorno all’edizione italiana del film? Se ricordi, la vicenda si apre con Harrison Ford che riceve un biglietto scritto a mano che lo getta nello sconforto: in tutte le edizioni italiane del film che abbiamo controllato, io e altri collezionisti, quel biglietto è ovviamente scritto in inglese, con al massimo dei sottotitoli italiani a tradurne il contenuto… invece nel trailer dell’epoca si vede un foglietto scritto a mano in italiano! Possibile abbiano girato quella scena SOLO per il trailer nostrano? Più facile che all’epoca nei nostri cinema girasse un’edizione italiana con il biglietto rigirato in Italia, poi persa per sempre come la maggior parte delle pellicole italiane di film americani.

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      1. Eh sì, il cinema è dominato dai prodotti per bambini, fra supertutine e giocattoloni vari: un genere adulto come il legal thriller è ormai roba d’altri tempi. Quando imperversava anche in TV: ti ricordi quando era pieno di serie legali? 😛

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