The foreigner (2017)

In generale non ho mai amato Jackie Chan e i suoi film, perciò quando mi hanno proposto questa pellicola sono stata tentata di dire di no. Ma ho accettato di vederla per il fascino di Pierce Brosnan, e sono rimasta piacevolmente sorpresa. Questa volta Chan non è il solito clown, che personalmente non mi ha mai fatto ridere, ma è insolitamente misurato in un ruolo drammatico a cui dà una straordinaria intensità. E il film è anche un discreto thriller, nonostante la parte politica sia un po’ confusa e, nell’insieme della vicenda, abbastanza noiosa.

Quan Minh è un vedovo che gestisce un ristorante cinese a Londra, insieme alla figlia e a una socia in affari. Il suo ristorante è teatro di un attentato terroristico da parte dell’IRA, in cui rimane uccisa la figlia, e da questo momento il suo unico scopo diventa scoprire i responsabili per vendicarla. Dopo essersi recato inutilmente a Scotland Yard per seguire le indagini e avere notizie sui sospetti, decide di andare direttamente alla fonte, facendo pressioni su Liam Hennessy, capo del partito indipendentista irlandese, che ha pubblicamente condannato l’attentato, ma che sembra sapere molto più di quello che dice.

L’incidente diventa anche il punto di partenza per un conflitto politico tra Inghilterra e Irlanda del Nord, dove funzionari corrotti e terroristi infiltrati si nascondono dietro ogni angolo. La rappresentazione politica non è particolarmente interessante e abbastanza scontata, non aggiungendo niente di nuovo a un qualsiasi altro thriller politico prodotto da Hollywood.

Ma è la storia della vendetta che fa presa e porta il film a un livello superiore. Perché quello che sembra un povero immigrato indifeso, vittima di qualcosa di più grande di lui che lo ha colpito negli affetti più cari, si rivela un veterano delle forze speciali in Vietnam, anziano sì, ma tutt’altro che indifeso. E questo background che viene dato al personaggio di Jackie Chan, ci fa immediatamente simpatizzare con lui, e crea uno sviluppo imprevisto nella storia.

Nonostante le scene d’azione non siano tante come ci si potrebbe aspettare, sono davvero solide e mettono in risalto tutta l’umanità e la vulnerabilità del personaggio. Chan mostra cosa può ancora fare fisicamente, ma rimane elegante e credibile, puntando soprattutto sulle abilità tattiche. Non è mai stato bravo con le parole, di solito sono i suoi pugni a parlare. Fortunatamente, qui ha pochi dialoghi ma in realtà recita molto bene nelle sequenze più emotive del film, lasciando esprimere al volto quello che le parole non possono dire. Inoltre ci sono anche alcune sequenze esteticamente molto curate.

Tuttavia, il regista Martin Campbell non riesce a fondere le due trame separate del film, ed è troppo dispersivo. L’interessante storia della vendetta personale viene un po’ troppo oscurata dalla noiosa politica, ed è un peccato. Non che Brosnan non sia bravo, anzi, è notevole come politico irlandese che nasconde segreti legami con l’IRA: Il suo aspetto professionale e ambiguo, l’accento irlandese (che ovviamente si perde nel doppiaggio), gli scoppi di rabbia e il sangue freddo nei momenti salienti, sono tutti punti a suo favore.

Ma la storia fatta di intrighi politici e attentati ci lascia abbastanza indifferenti di fronte al dramma privato di Quan, di questo ex militare dei reparti speciali che si è lasciato alle spalle un passato brutale per vivere un’esistenza tranquilla, come un normale membro della società, e di colpo si trova a rimettere tutto in discussione e a ricorrere, suo malgrado, alla violenza. Il suo mondo, come se l’era costruito, crolla nel momento in cui la figlia muore, e da qui niente ha più senso se non trovare giustizia. Persino il suo ristorante non gli interessa più, tanto che lo affida alla socia.

Il film si può facilmente dividere in due parti: la prima è la più drammatica, quella in cui si svolge la grande esplosione che uccide la figlia di Quan. Dal momento in cui quest’uomo perde la figlia, dimentica tutto e diventa solo assetato di vendetta. La seconda parte inizia quando Quan si rivolge per la prima volta a Hennessy, chiedendogli di trovare i responsabili dell’attentato. Da qui il film diventa un po’ ripetitivo, soprattutto a causa dell’impazienza di Quan.

Tuttavia, man mano che la trama si svolge, la vendetta di Quan cessa di essere il punto focale e i temi politici iniziano a prevalere, il che altera notevolmente il ritmo della storia. Da un certo punto in poi, vorremmo solo vedere il personaggio di Jackie Chan. Vorremmo saperne di più su quest’uomo e vorremmo vedere più scene d’azione con lui. Invece l’equilibrio tra le due vicende non è perfetto e ci sono lunghi momenti della storia in cui Quan non è presente, come se il personaggio fosse stato dimenticato. In primo piano solo intrighi politici che davvero ci interessano poco o niente.

Ma le poche scene in cui Jackie Chan e Pierce Brosnan sono presenti insieme, sono chiaramente i punti salienti del film, in cui ognuno dà il meglio di sé. Non c’è dubbio che il dramma politico smorzi il ritmo del film, ma non c’è comunque tempo per annoiarsi. Qualcuno ha considerato un difetto la mancanza di leggerezza di questo film, rispetto ad altri interpretati da Jackie Chan: le sequenze d’azione creative e divertenti che spesso si trovano nei film dell’attore sono qui palesemente assenti, al punto che Chan non ride praticamente mai.

Del resto Quan è un antieroe crepuscolare, e la traiettoria della sua vendetta è prevedibile; sarebbe stato bello che il film si soffermasse di più su di lui, sul suo tormento interiore, invece il personaggio maggiormente approfondito è l’infido politico di Brosnan. A dispetto del titolo, il film sembra quasi dimenticarsi chi sia il suo protagonista.

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11 pensieri riguardo “The foreigner (2017)

  1. Apprezzo molto Jackie ma solo quando faceva film cinesi (i suoi titoli americani faccio finta che non esistano!), e a lungo ho resistito a questo film perché subodoravo la fregatura. Poi quando nel mio blog ho dedicato un lungo ciclo alla carriera dell’attore non ho più potuto nascondermi e mi sono dovuto vedere questa roba improponibile: uno scrittore d’altri tempi (Stephen Leather), cresciuto con la narrativa della Guerra Fredda, che nel 1992 scrive una roba anni Ottanta come “Chinaman” che fondeva due passioni dell’epoca (IRA e Vietnam) riportato in vita dopo trent’anni in cui il mondo è cambiato mille volte con un film dove Jackie fa Rambo… Sono contento che anche tu segnali come il film non sia propriamente riuscito, mentre io sono stato più pepato nel giudizio 😛
    Capisco che Jackie per anni abbia provato a fare film con l’amico Stallone senza riuscirci, ma vederlo scatenare «una guerra che non te la sogni neppure», portare la guerra in città e ricucirsi le ferite da solo, cioè fare il Rambo dei poveri – visto che pure Stallone ha smesso di funzionare in quel ruolo già dal 1988, con il flop del suo terzo film! – è stato uno spettacolo triste. Per non parlare della noia mortale di un film mostruosamente lungo che finge di essere moderno invece è solo una vecchiata anni Ottanta, scritto con uno stile che già negli anni Ottanta era insopportabile. (Cioè la solita spy-story in cui si pensa che avere venti personaggi in scena migliori la sceneggiatura inesistente.) Come lascio trasparire dal mio commento, non ho gradito questo titolo 😀

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  2. Io invece non ho mai apprezzato il Chan clownesco, e qui mi è piaciuto il suo ruolo drammatico . Brosnan è sempre un bel vedere (almeno per me) e la storia è quello che è…

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