È uno dei pochi film sul baseball a far vedere pochissimo baseball. Nessuna partita è rappresentata per intero, non ci sono montaggi entusiasmanti di squadre che lottano per la vittoria, e non c’è alcuna esaltazione romantica di questo sport. Il che per noi, che non siamo pratici di questo affascinante gioco, è decisamente un bene. Eppure il film pretende di raccontare la storia vera di Jimmy Piersall, un grande giocatore di baseball vittima di un crollo nervoso, e affronta apertamente la pressione psicologica che deriva dall’essere una star dello sport.

Piersall, che ha giocato per i Boston Red Sox negli anni ’50 e ‘60, cominciò a manifestare crisi di rabbia incontrollabile, sia in campo che fuori, tanto da essere sospeso per le continue risse, sia con gli avversari che con i compagni di squadra; fu poi ricoverato per esaurimento nervoso e gli fu diagnosticata una sindrome bipolare. Il film è basato sulla sua autobiografia ed elude alcuni degli aspetti meno affascinanti della sua personalità, enfatizzando drammaticamente (e forse eccessivamente) il ruolo avuto dal padre nel suo esaurimento. Per amore di verità, va detto che Piersall rinnegò il film, ridimensionando il ruolo del padre nel libro The Truth Hurts. Sorvolando sui dettagli biografici imprecisi, il film può essere considerato come un dramma generazionale che ha per sfondo il campo da baseball.

Jimmy è un adolescente che come tanti altri si appassiona al baseball, incoraggiato ma anche dominato dal padre, un ex giocatore fallito, che non è riuscito ad entrare nelle major. Pressato continuamente dai suoi consigli, e ancor più dalle sue critiche, riesce a diventare un giocatore brillante, ma sempre con la sensazione di non essere abbastanza bravo. Il padre infatti lo sprona con insistenza ossessiva, e sembra non essere mai soddisfatto dei suoi progressi.

L’ultimo anno di liceo viene arruolato dai Red Sox ma questo, invece che rafforzare la sua autostima, gli provoca ulteriore stress, per la continua paura di non essere all’altezza della squadra. Terrorizzato dal fallimento, non riesce nemmeno a godersi il proprio successo: ama il baseball, ma non lo vive come un divertimento, e quello che dovrebbe procurargli gioia e soddisfazioni, non fa che stressarlo sempre di più. Quando alla fine viene arruolato come interbase, invece che come esterno, ruolo per cui si era sempre allenato, ha quasi un esaurimento nervoso.

La paranoia aumenta quando si trova effettivamente a giocare nella Major League, scontrandosi con i suoi compagni di squadra e con gli allenatori, costantemente spaventato dal loro giudizio e convinto di essere inadeguato. Unico raggio di sole nella sua vita è la moglie Mary, che non riesce però a compensare la negatività del padre.

Il fulcro del film è ovviamente Anthony Perkins, che interpreta Piersall con lo stesso sguardo tormentato e l’aura tragica che tre anni dopo lo avrebbero reso indimenticabile nei panni di Norman Bates. Jimmy non sembra mai rilassato, gioca sempre con le spalle curve, il corpo teso e il volto angosciato sopraffatto dalla paura. Perkins costruisce lentamente il suo personaggio fuori e dentro il campo da gioco, senza esagerazioni forzate, in un crescendo che presagisce un crollo straziante, ma realistico, ed è straordinario come trasforma il timido giovane romantico e sognatore in un rabbioso schizzato.

Dove forse le sue prestazioni sembrano meno efficaci è sul campo da baseball. Gli mancano la postura e la spavalderia di un vero giocatore, ed è un po’ troppo rigido nell’impugnare la mazza, ma per noi che ne capiamo poco non è così importante. Karl Malden ha il non invidiabile compito di rappresentare il padre, e lo fa infondendogli un senso tragico tutto suo. Sarebbe stato facile trasformare John Piersall nel cattivo di turno, ma Malden fa in modo che ciò non accada, regalandoci una delle sue migliori interpretazioni. Il rapporto tra lui e il figlio è particolarmente intenso e non c’è un solo momento in cui lo spettatore dubiti del suo amore per Jimmy, né della sua convinzione di agire per il suo bene.

Ci dà i brividi vedere come sprona continuamente il figlio verso vette vertiginose, senza rendersi conto che lo sta spingendo nell’abisso della paura e dell’insicurezza. Ma Malden trasforma il padre di Piersall in una figura ricca di sfumature che non è un uomo cattivo. Anche quando non lo dice apertamente, sappiamo benissimo che è orgoglioso di suo figlio e sentiamo che lo ama. Non lo capisce, ma lo ama. Per quanto sia un padre terribile, Malden infonde al personaggio un calore e un’umanità che lo rendono ancora più riconoscibile per chiunque abbia sperimentato questo rapporto di amore-odio con il proprio padre.

È uno scenario così frequente da sembrare uno stereotipo cinematografico, ma purtroppo è molto vicino alla realtà. Alcuni genitori (non solo i padri…) esercitano così tanta pressione sui figli che per loro diventa quasi un peso insopportabile avere successo. Aggravato dal fatto che questi genitori di solito cercano di realizzare il proprio talento fallito, e non sempre si ricordano di dare ai propri figli una pacca sulla spalla o una parola di incoraggiamento. Inserito nel contesto di un’epoca in cui i disturbi mentali erano il più delle volte stigmatizzati e fraintesi, questo è in realtà un film abbastanza coraggioso per affrontare un tale argomento.

Del resto il regista Robert Mulligan ha sempre avuto il coraggio di raccontare storie che pochi altri erano disposti a rappresentare tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Ha affrontato un’ampia varietà di importanti questioni sociali con gusto, intelligenza e, soprattutto, un favoloso senso dello spettacolo. Vale davvero la pena di vedere questo film, che è il suo esordio alla regia: non a caso, cinque anni dopo, ci regalerà Il buio oltre la siepe.
Buon giorno 1 Bella la recensione ma mai sentito
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E’ bello anche il film. Buongiorno a te
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lo guarderò… conosco anche qualcuno al quale di suicuro piacerà; ci sono ragazzi giovanissimi anche oggi che vengono spronati dai genitori a fare sport quando loro vorrebbero fare tutt’altro…
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Purtroppo è un tema quanto mai attuale, e non solo nello sport. Conosco una bimba di 8 anni che si è ridotta letteralmente a dare testate contro il muro perché la mamma l’aveva riempita di impegni extrascolastici: inglese con insegnante madrelingua, danza e pianoforte, e in tutto doveva raggiungere l’eccellenza, pena punizioni su punizioni. Un dramma vero e proprio.
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Vittorio Baglioni, proprio nei giorni scorsi ha parlato di questo argomento… io ci vado leggera, perché molti fanno ste cose oggi; vessano i bambini privandoli del loro diritto di essere tali. Riversano sui piccoli tutta una serie di ambizioni che loro non sono riusciti a portare avanti! E’ mostruoso, secondo me! E molto, molto dannoso! Come se non bastasse il mondo in cui vivono a togliergli tutto, ci si mettono anche le persone che dovrebbero proteggerli!
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Infatti ho letto il suo articolo. Purtroppo è una realtà molto diffusa. Alcune madri esercitano queste imposizioni in buona fede, credendo di fare il bene dei figli, altre semplicemente per non averli tra i piedi, detto brutalmente.
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HO pensato la stessa cosa… non ti sto a raccontare che cosa ho visto durante il periodo pandemico, a tal proposito; pur di levarsi i figli di torno, certa gente ha passato il segno, credimi!! Sono molto felice di aver cambiato lavoro e di non essere più costretta a relazionarmi con persone che a dir poco, per me non meritano nessuna stima. Nessuna umanità… e loro, così piccoli! Mah… meglio non pensarci!
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Bella rexcensione, mi piacerebbe vedere il film. In merito a quanto scrivi, se vuoi ottenere da tuo figlio/a più del meglio in tutto, ottieni decisamente l’effetto contrario; capisco la figlia della persona di cui parli, alla fine per i figli è solo uno stress continuo… Buona serata. 🙂
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Visto e apprezzato
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Non conoscevo questo film, grazie per avermelo portato all’attenzione. Spero di riuscire presto a vederlo, sembra interessante.
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Mai visto. Ora ho una gran curiosità di vederlo. Grazie.
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