Gran Torino (2008)

Un titolo accattivante e una storia insolita per un film che nasce, vive e muore con Clint Eastwood. Senza la sua forte personalità, la sua capacità di dare un’impronta carismatica alle storie che racconta, il film non esisterebbe. Quattro anni dopo Million dollar baby, Eastwood ritorna a dirigere e interpretare un film chiaramente didascalico, anche se mantiene un approccio abbastanza sobrio, senza dilungarsi in lunghi monologhi con l’unico scopo di fare la morale al pubblico. Volendo riassumere in maniera semplicistica, si potrebbe dire che è un film contro il razzismo, ma sarebbe come dire che Million Dollar Baby era un film a favore dell’eutanasia. E anche se qui l’approfondimento psicologico dei personaggi e la costruzione narrativa sono molto meno profondi, Gran Torino rimane un film interessante, che dimostra come anche le proposte più convenzionali possono dare buoni risultati.

Walt Kowalski è un veterano della guerra di Corea rimasto vedovo dopo cinquant’anni di matrimonio. Trascorre un’esistenza vuota e noiosa, osservando il suo quartiere che ogni giorno va sempre più popolandosi di immigrati, verso i quali nutre un’antipatia irrazionale. Unico passatempo è la sua Gran Torino del 1972, l’auto che custodisce gelosamente e di cui si occupa in modo quasi maniacale.

Sembra che nulla nella vita gli dia più piacere ed è una persona amareggiata e irascibile, o forse, essere così è proprio l’unica cosa che gli dà piacere, tanto che si comporta in modo odioso con tutti, figli, nipoti, vicini di casa e anche con il parroco della comunità. È il classico vecchio insopportabile bloccato nelle sue convinzioni e negli incrollabili pregiudizi, che si traducono in un odio profondo e irrazionale soprattutto contro gli orientali, a causa delle sue esperienze di guerra.

Ma le cose cambiano quando salva accidentalmente il figlio dei vicini dall’aggressione di una banda di teppisti: il suo gesto, compiuto solo per egoismo, poiché l’aggressione era sconfinata sul suo terreno, viene interpretato dalla famiglia del ragazzo come un intervento eroico e suscita la profonda gratitudine di tutta la comunità Hmong, a cui il ragazzo appartiene, nei confronti del vecchio. Da qui si instaura uno strano rapporto tra Walt e il ragazzo, che passa rapidamente dall’iniziale diffidenza e reciproca sopportazione, a qualcosa di molto simile a un’amicizia, fino a svilupparsi in un finale, forse in parte scontato, ma non per questo meno coinvolgente.

Pur essendo una storia sostanzialmente stereotipata, che non riserva troppe sorprese, la narrazione eccelle nei dettagli. Se da un lato può essere banale l’idea del veterano di guerra che odia gli immigrati asiatici, dall’altro il personaggio di Walt si spinge così oltre nelle sue assurde convinzioni che diventa interessante, anche perché al di fuori delle situazioni che coinvolgono altre etnie, rimane comunque un uomo con un pessimo carattere, egoista, misantropo e scorbutico. Eastwood è perfetto per ritrarre il personaggio, perché il background dei ruoli che ha interpretato nella sua lunga carriera forma un percorso coerente, che trova la sua logica conclusione nel veterano frustrato e arrabbiato con il mondo intero.

E il suo viso spigoloso ha l’espressione giusta di chi ha visto e sopportato di tutto nella vita, e non si fa problemi a dire ciò che pensa. A questo si aggiunge la delusione riguardo ai figli, che oltre a essere dei fannulloni buoni a nulla, sembrano solo aspettare la sua morte per ereditare; così l’affetto della famiglia Hmong diventa per lui ancora più apprezzabile, e Walt finisce per mettere nel suo rapporto con il ragazzo la stessa energia che usa per tenere lontano i propri figli.

In sostanza il film riadatta la vecchia formula per cui due persone completamente differenti per carattere e appartenenti a generazioni diverse, diventano amiche. Walt insegna al giovane Tao preziose lezioni di vita, mentre Tao a sua volta fa aprire il cuore al vecchio misantropo, irascibile e prevenuto. Può sembrare lo schema di Million Dollar Baby, ma qui la trasformazione del vecchio è molto più rapida e meno sottile, forse per questo meno credibile, anche se Eastwood rimane una garanzia. E’ proprio Clint, con la sua interpretazione, a farci dimenticare il percorso più ovvio della trama.

Anche le due giovani controparti asiatiche sono una piacevole scoperta: la vivace Ahney Her in particolare brilla in ogni scena in cui si trova. I dialoghi sono in parte alleggeriti da un umorismo fresco, fatto di epiteti e luoghi comuni che sono più divertenti che seriamente razzisti, e che lo stesso Walt ripete senza troppa convinzione.

Ma la sceneggiatura cura in particolare la parte drammatica, in cui le emozioni degli spettatori sono abilmente anticipate, i temi della vita e della morte sono menzionati più volte, e anche se si arriva al finale in modo forse non molto sottile o innovativo, il film è comunque toccante e riesce ad affascinare dall’inizio alla fine. 

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15 pensieri riguardo “Gran Torino (2008)

      1. Sì, senz’altro. Clint Eastwood riempie da solo il film, facendoti dimenticare tante stereotipie.
        Bel film, e poi quell’auto meravigliosa e la stupenda canzone (in quanti viaggi mi ha accompagnata!).

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  1. A parte tu” sempregraziosa”
    A parte Clint “semprecult”
    Ho guidato una gran torino
    In Alabama nei pressi di
    Tuscaloosa
    Per un’oretta
    Esperienza memorabile
    Galloni di benzina a go go
    Macchina che andava
    Dove voleva lei
    E non dove volevi tu
    Sto ancora ridendo
    Quando Brady
    Col suo accento del sud
    Grand Torino
    Ed io
    Si si
    A Torino c’e la fiat
    La panda la 127….???
    Non ha capito
    E meglio così
    Poi siamo andati nel Mississippi
    Un super salutone
    Wu Otto

    Piace a 1 persona

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