Il gigante di ferro (1999)

Siamo al secondo appuntamento con la recensione scritta da Il Buio Dentro. Per il mese di febbraio ha scelto un bellissimo film di animazione di qualche anno fa, ma più che mai attuale. È un lungometraggio che ci dimostra come, anche senza un’animazione appariscente e dettagliata, o particolarmente vivace, si possa confezionare un film di successo, e che gli ingredienti più importanti per realizzare un prodotto di alto livello sono un tema affascinante e una storia avvincente, popolata di personaggi ben sviluppati. Il Gigante di Ferro è tutto questo, e molto altro. Buona lettura!

Di alieni che arrivano sulla terra il cinema ce ne ha mostrati tanti, soprattutto quello di fantascienza, ma Il Gigante di Ferro non appartiene al genere, creandone uno a sé stante. Nonostante possa essere considerato come un capolavoro d’animazione, all’epoca dell’uscita non fu completamente compreso, anche per via di alcune politiche aziendali che ne hanno inizialmente limitato il successo. Il film, uscito nelle sale nell’agosto del 1999, è un’opera a tecnica mista di animazione tradizionale e CGI. A differenza di tutte le altre produzioni contemporanee, che integravano la computer grafica solo per stupire, Il Gigante di Ferro riesce a sposare egregiamente questi due stili creando un vero e proprio quadro d’emozioni.

Siamo a Rockwell, nell’ottobre del 1957, ed è un momento importante per la storia del nostro pianeta, il primo Sputnik viene lanciato in orbita nello spazio e le tensioni per la guerra fredda sono ai massimi storici. La cittadina del Maine, è la perfetta espressione della provincia statunitense, lontana dallo sfarzo delle vicine metropoli, dove si lavora duramente per raggiungere il sogno americano. Un enorme oggetto misterioso, venuto da chissà dove, costerà ad un vecchio pescatore la sua barca. Ma quando il marinaio, soddisfatto di aver adempiuto il suo dovere di bravo cittadino avvisando il governo, cercherà di raccontare la sua storia, non verrà creduto.

Hogarth Hughes (Eli Marienthal), è un dolce bambino di nove anni, figlio di una madre single (Jennifer Aniston) che spesso va a trovare alla tavola calda dove lavora. Hogarth è bravo a scuola, e ciò gli causa problemi di integrazione; è amante dei fumetti, della fantascienza e, soprattutto, degli animali, che continua a salvare. I lunghi turni di lavoro della madre lo costringono spesso solo a casa, dove passa il tempo guardando film in televisione e rimpinzandosi di dolciumi. Proprio le interferenze all’antenna lo costringono ad uscire, notando la presenza di danni al suo giardino e una traccia che conduce al vicino bosco.

Desideroso di risolvere il mistero, armato di torcia elettrica e di un fucile giocattolo, segue la scia di distruzione, arrivando fino alla centrale elettrica, dove un enorme uomo metallico (Vin Diesel) è intento a fare uno spuntino. Hogarth è spaventato, ma quando il povero essere rimane folgorato, non può far altro che cercare di salvarlo. Il giorno seguente, l’agente governativo Kent Mansley (Christopher McDonald), perfetta rappresentazione della paranoia di quegli anni, inizia ad indagare sull’incidente e sui continui ritrovamenti di oggetti metallici morsicati.

Nel frattempo Hogarth, tornato al bosco, rincontra l’uomo di ferro, vittima di amnesia, facendoci amicizia, trovando un modo per comunicare e nascondendolo nel suo fienile. L’affetto che nasce tra i due è immediato e sincero, col bambino che gli tiene compagnia leggendogli i suoi fumetti. Mansley riesce comunque a collegare gli strani fenomeni proprio con Hogarth, arrivando a prendere in affitto la stanza che la madre ha messo a disposizione, per poter indagare.

Per sottrarre il suo nuovo amico alla persecuzione di Mansley, il bambino gli troverà un altro nascondiglio presso Dean (Harry Connick Jr.), sfasciacarrozze e creatore d’arte moderna locale. Dopo qualche dubbio iniziale, Dean accetta, e i tre diventano quasi inseparabili. Ovviamente non è tutto divertimento e giochi. L’uomo di ferro deve mangiare grandi quantità di metallo, deve nascondersi dalla vista della madre e, soprattutto, non deve essere scoperto da Mansley. Ma un giorno, assistendo all’uccisione di un cervo, il grande uomo di ferro prende coscienza del fatto che le armi causano la morte, e le identifica con il male assoluto. Questo comporterà una reazione esagerata di fronte a un’arma giocattolo impugnata da Hogarth, e il gigante rivelerà la sua vera natura di arma di distruzione di massa. Ritornato in sé e dispiaciuto per l’accaduto, viene allontanato da Dean, preoccupato per la sicurezza del bambino.

Nel frattempo l’agente governativo, sempre più preda della follia paranoica e convinto che il gigante di ferro sia un pericolo per l’umanità, gli scatena contro l’esercito, sollecitando la sua reazione. Come potrà finire lo scontro tra le forze armate terrestri e questa formidabile arma aliena? Sarà la fine dell’amicizia tra il bambino e il gigante? Il film ci riserva un doppio finale, con una conclusione commovente che prelude a una bella sorpresa finale: un grande sorriso metallico che ci saluta dal cuore di un ghiacciaio islandese.

Questo film è nato da una domanda profonda: “E se un’arma avesse un’anima e non volesse essere uno strumento di morte?”. Una considerazione nata sia dal profondo dolore del regista Brad Bird per l’uccisione della sorella da parte del marito, che dalla perdita della moglie di Ted Hughes, autore del libro da cui il film trae ispirazione. Sia il regista che lo scrittore confessarono quanto quest’opera fosse risultata fondamentale per affrontare il trauma che li aveva colpiti. Un film che ci pone tematiche molto profonde, come la paura, la voglia insensata di trovare un nemico o un colpevole ad ogni costo, l’esistenza e la scelta che ogni essere umano vive ogni giorno, la vita e la morte.

Una pellicola che inizialmente non riscosse molto successo, a causa della cattiva gestione pubblicitaria da parte della Warner e da un’uscita al cinema penalizzata dalla presenza contemporanea nelle sale di altri film, forse più appetibili. La Warner Animation era rimasta indietro rispetto a tutte le altre case, pagando a caro prezzo il nuovo rinascimento della casa di Topolino. La Disney stava vivendo il suo periodo d’oro, iniziato con La Sirenetta, la Dreamworks iniziava allora ad affacciarsi al mondo, Don Bluth continuava a sfornare lungometraggi e altri Studios stavano cavalcando l’onda, dettando tutti assieme nuovi canoni per questo genere.

La Warner, dopo alcuni recenti flop, aveva ottenuto un buon successo solamente grazie alla presenza di Michael Jordan in Space Jam. Il Gigante di Ferro si staccava dai canoni dei suoi contemporanei, fattore che contribuì non poco al tiepido accoglimento iniziale. Il film fu però capace di avere una seconda vita grazie all’home video e ad alcuni passaggi televisivi durante le festività americane. Oggi lo possiamo considerare un cult che riesce a parlare al suo pubblico a molteplici livelli. Propone temi che abbracciano tutta l’esistenza umana e la sua fine, la scelta di essere e agire, non vincolata a ciò che saremmo dovuti essere, ma decidendo autonomamente la propria strada.

Il film è realizzato in animazione tradizionale, ad eccezione del gigante e di alcuni effetti luminosi. Questi elementi, volutamente inseriti da Bird, già animatore Disney e futuro doppio premio Oscar con la Pixar, mettono maggiormente in risalto l’iniziale diversità percepita della creatura, che si affievolisce man mano che la narrazione svolge il suo corso, riuscendo gradatamente a non farlo risultare più “alieno”. Malgrado le poche parole pronunciate, il character design (ispirato a Braccio di Ferro) e i movimenti di corpo e volto, lo rendono estremamente espressivo e comunicativo.

L’ambientazione accurata, e i continui riferimenti culturali al periodo storico, sono capaci di donare un’atmosfera ancora più reale, frutto anche di una fotografia ben studiata, capace di far incontrare il passato col presente. La caratterizzazione dei personaggi umani è uno dei punti di forza, riuscendo nell’intento di rendere a pieno l’incredibile normalità della profonda provincia americana, con i suoi pregi e i suoi difetti. Non mancano i momenti umoristici, ben integrati nella struttura della narrazione, che ne rendono piacevole la visione anche per un pubblico giovanissimo. Questo film un capolavoro e gli anni gli hanno restituito ciò che meritava, inserendolo tra i migliori lungometraggi d’animazione della storia del cinema.

È sbagliato uccidere. Le armi uccidono. E tu non sei obbligato ad essere un’arma. Tu sei chi scegli e cerchi di essere. Scegli tu.

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18 pensieri riguardo “Il gigante di ferro (1999)

  1. L’amore che provo per questo film è immenso. È una storia magnifica, una storia molto profonda che mostrare anche la pericolosità delle armi, una cosa che il regista ha sempre messo in primo piano in diverse sue opere (anche perché sua sorella venne uccisa da un colpo di arma da fuoco e questo film è dedicato a lei). Ed è anche un film sulle scelte. Il gigante era un’arma ma alla fine ha deciso di essere un eroe, di essere un Superman. Questo film è straordinario e avete dato giustizia a questa opera magnifica.

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    1. Ammetto che la proposta è venuta da lui, perché lascio sempre scegliere a lui di cosa preferisce parlare. Ma a questo film sono molto affezionata anche perché piaceva tantissimo alle mie figlie, che ancora lo ricordano con piacere, e lo abbiamo visto spessissimo insieme.

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