Le regole del caos (2014)

Alla seconda regia dopo L’ospite d’inverno, Rickman ci regala un film affascinante che è un vero gioiello visivo. Incentrato su una figura femminile molto indipendente, che deve lottare per emergere in un mondo declinato al maschile, si affida al talento di Kate Winslet, che dimostra di poter reggere quasi tutto il film sulle sue spalle.

Siamo in Francia, nel 1684. Sabine De Barra, artista tanto dotata quanto determinata, disegna giardini meravigliosi, e il suo talento le vale un invito alla corte di Luigi XIV, dove il famoso paesaggista del re, André Le Nôtre, affascinato dall’originalità e dall’audacia della giovane donna, la sceglie per creare una sala da ballo all’aperto, che diventi il fulcro dei giardini del nuovo palazzo che il Re Sole vuole creare a Versailles, per stupire l’Europa.

Con il suo background rurale, Sabine si inserisce con difficoltà nel mondo della corte, mentre si sviluppa un legame speciale tra lei e Le Nôtre per via della comune passione. Ma Le Nôtre è sposato e sua moglie, nonostante non sia affatto fedele, vede un grande pericolo nella bella giardiniera. Sabine dovrà quindi lottare su più fronti per poter emergere, combattendo con l’etichetta di corte, con i propri demoni del passato, e con chi vorrebbe liberarsi di lei, anche sabotando il suo lavoro.

La Winslet dà vita a un personaggio a tutto tondo, disegnando il lato più selvaggio e caparbio di questa donna indipendente, che difende le proprie idee con determinazione, ma anche la sua anima romantica che vorrebbe tornare ad amare, ma è tormentata da un terribile senso di colpa che non riesce a rimuovere. Rickman e Winslet, che avevano già recitato insieme in Ragione e sentimento, qui condividono poche scene, ma molto significative.

La più importante e forse la più potente di tutto il film, è l’incontro casuale di Sabine con il re, impersonato da Rickman, che lei scambia per un giardiniere; il colloquio tra i due avviene quindi in maniera del tutto informale e il re non fa nulla per rivelare la propria identità, apprezzando la conversazione spontanea nata tra loro, da pari a pari. Solo quando Sabine si rende conto di chi ha di fronte, si ristabiliscono i rispettivi ruoli e le distanze tra loro.

L’incontro con il re si ripeterà più avanti nel film, quando Sabine gli sarà ufficialmente presentata, e anche in quell’occasione il re si fermerà a parlare con lei, interessandosi al suo lavoro e ai suoi progetti, dimostrando di apprezzare la sua compagnia, e di ammirare la sua intelligenza e la sua forte personalità. Questo rapporto tra Sabine e il re, basato esclusivamente sulla stima che il sovrano nutre per le sue capacità lavorative, è molto importante per la definizione del personaggio, tanto da mettere in secondo piano la storia romantica con Le Nôtre.

Nella regia Rickman si libera dai codici tradizionali del genere, con una messa in scena versatile, a tratti leggera, che diventa gradualmente drammatica. Una miscela che funziona e suscita curiosità. In un secondo momento il film prende una piega più romantica, relegando i giardini in secondo piano, ma senza che escano mai di scena. Peccato che Matthias Schoenaerts non sembri all’altezza del ruolo di eroe romantico, dando poca espressività al suo personaggio. Molto più brillante Stanley Tucci, che riesce a dare un ottimo contributo, anche se relegato in un personaggio di contorno.

Rickman sa come dirigere i suoi attori sullo schermo con un uso sapiente della macchina da presa: utilizza ad esempio molti primi piani per attirare l’attenzione sui dettagli dei volti o sulla costruzione del giardino, mentre il passato di Sabine, che per molto tempo resta poco chiaro allo spettatore, è rappresentato da scatti veloci che si alternano, così da poterne vedere solo una piccola parte alla volta, senza rivelarlo nella sua interezza.

C’è un accurato lavoro di ricostruzione storica, ma il regista se ne appropria a modo suo e lo approccia da un aspetto insolito. Invece di concentrarsi sulla descrizione degli ambienti e dei costumi dell’epoca, pur curatissimi, esplora ciò che si nasconde sotto le parrucche dei suoi personaggi. Tuttavia non riesce a sottrarsi a tutte le insidie ​​del genere e certi passaggi, soprattutto quelli che si svolgono a corte, si trascinano un po’ a lungo e finiscono per rallentare il ritmo della storia. C’è anche qualche buco nella sceneggiatura, alcune domande che non trovano risposta, ma nel complesso il film rimane di alta qualità, una meravigliosa sinfonia che sorprende e affascina sia nella forma che nella sostanza.

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