Figli di un Dio minore (1986)

Spiace dirlo, ma la disabilità al cinema funziona sempre, e spesso è stata utilizzata per arrivare agli Oscar. Di solito, però, si predilige una disabilità evidente, conosciuta e riconoscibile dal pubblico, e che permetta agli attori di toccare le corde del cuore con la loro interpretazione. Era dai tempi di Anna dei miracoli e La scala a chiocciola che al cinema non si parlava di non udenti, o ipoudenti se preferite, un universo trascurato dai cineasti ed evitato dagli sceneggiatori. Forse perché poco conosciuto anche al grande pubblico. Figli di un Dio minore colma questa lacuna, e lo fa con una storia drammatica, ironica e romantica insieme, che mostra le difficoltà di chi, in un mondo fatto di suoni, vive nel silenzio.

In una prestigiosa scuola per non udenti, arriva un nuovo insegnante, James Leeds, dai metodi rivoluzionari e per certi versi poco ortodossi. Pur conoscendo il linguaggio dei segni, introduce alcune tecniche di insegnamento innovative, sperando di accendere una scintilla nei suoi studenti e allo stesso tempo prepararli per la vita all’esterno. Contro il parere del direttore, Leeds cerca di avvicinare i non udenti al mondo del suono, esortando i suoi studenti a provare a parlare.  Per raggiungere questo obiettivo, utilizza la musica nella sua classe, e riesce a raggiungere anche gli studenti più chiusi e isolati.

Nel frattempo conosce e si innamora di Sarah, un ex alunna della scuola, che è rimasta a lavorare all’interno dell’istituto, e si rifiuta di affrontare il mondo esterno. L’insegnante rimane impressionato dalla sua tenacia e da come non sia minimamente ostacolata dal suo handicap, ma vorrebbe ugualmente insegnarle a parlare, convinto che potrebbe apprendere senza difficoltà. 

Man mano che la relazione tra i due procede, tra alti e bassi, l’insegnante scopre un mondo nuovo e si accorge che il silenzio di Sarah è tutt’altro che solitario per lei. La ragazza si rifiuta ostinatamente di parlare, perché vuole essere accettata e amata per quello che è, mentre lui vorrebbe insegnarle a parlare, convinto di poterle dare una vita “normale”. Inutile dire che ci sarà un lieto fine.

Potrebbe sembrare una semplice storia romantica, ma quello che ne fa un film speciale è il suo muoversi costantemente tra silenzio e suono, fondendo i due mondi così lontani, attraverso la reciproca comprensione. Così l’insegnante, che dovrebbe condurre per mano i suoi studenti dal silenzio al suono, diventa a sua volta studente, e impara, attraverso Sarah, le meraviglie del suo mondo silenzioso. E anche lo spettatore viene catturato dal fascino del silenzio, al punto che si arriva a percepirne la bellezza.

Il merito più grande di questo film è di averci insegnato che anche il mondo del silenzio è ricco di sensazioni vive, ed è a colori, non in bianco e nero come potevamo pensare prima di aver visto Marlee Matlin ballare sulle vibrazioni della musica, muoversi con grazia e sensualità come se percepisse l’armonia del suono tutt’intorno a sé. E’ un momento toccante, forse la scena più bella e commovente di tutto il film, ed è affidata a un’attrice che è realmente audiolesa, e che per la sua interpretazione ha vinto il premio Oscar.

Marlee Matlin è una rivelazione deliziosa, senza la quale il film non sarebbe stato lo stesso: è lei che ci apre con grazia e sensibilità sbalorditive una finestra sul mondo dei non udenti, facendo da tramite con un’espressività toccante. Anche William Hurt esprime al meglio l’incapacità di comprendere realmente il mondo del silenzio, almeno fino a quando non riesce a farsi trasportare dall’amore al di là dei suoi pregiudizi.

Sicuramente l’interazione tra i due protagonisti (che per l’occasione ebbero anche una breve relazione) è uno dei punti di forza della pellicola, ma anche il rapporto tra l’insegnante e i suoi studenti è ben delineato. Ottima anche la sceneggiatura, tratta dall’opera teatrale omonima, che sul grande schermo si arricchisce degli splendidi paesaggi canadesi, immersi in un’atmosfera delicatamente autunnale.

Nel complesso è la storia romantica di due persone che imparano insieme a esplorare l’uno il mondo dell’altro, fino a raggiungere una connessione profonda: in altre parole, quello che dovrebbe essere sempre ogni storia d’amore.

37 pensieri riguardo “Figli di un Dio minore (1986)

  1. Mi ricordo di averlo visto omai una vita fa, e mi piacque molto. Apprezzo molto il silenzio, e in determinate occasioni provo a ricercarlo, ma senza successo, purtroppo, vista la caoticità del mondo in cui viviamo. Ma il silenzio talvolta può essere anche assordante, e questo genere di silenzio penso sia controproducente.

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  2. scrivi una cosa che ho pensato anche io dopo aver visto questo film !!!ma quello che ne fa un film speciale è il suo muoversi costantemente tra silenzio e suono, !!!, è proprio così, penso che oltre la tematica sia proprio questo a fare di questa pellicola un buon film! bravissima e grazie

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  3. Pensa che all’epoca della sua uscita in Italia in famiglia l’abbiamo visto in cassetta pirata, e da allora non mi è più ricapitato di vederlo: chissà che effetto sarebbe vederlo dopo più di trent’anni.
    All’epoca ancora non ero un fan sfegatato di Hurt, come sarei diventato qualche anno dopo, ma anche una volta diventato estimatore preferivo altri suoi film a questo. E’ stato un duro colpo sapere della sua scomparsa, è stato un attore che mi ha accompagnato in tanti momenti bui della giovinezza.

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      1. Che tempi!
        Nel 1986 è entrato in casa il videoregistratore e ci siamo subito iscritti alle due videoteche del quartiere, che sottobanco affittavano “novità”, o “prime visioni”, cioè parole chiave per indicare “film pirata”. A volte si vedevano da schifo, a mala pena si distinguevano gli attori, altre volte si vedevano molto bene.
        Quanti ricordi… ^_^

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        1. Da me invece gli spacciatori numero uno erano i colleghi di papà e mamma, che presero a svolgere quell’attività con vero senso degli affari. In breve realizzarono cataloghi, offerte, ecc. Per loro era un vero e proprio secondo lavoro. Molto, molto dopo, arrivarono i miei amici (o comunque le famiglie dei miei amici). 😉

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          1. In effetti ora che me lo fai ricordare ad un certo punto è sbucato fuori un collega di mia madre che forniva questi “servizi” (parlo però dei primi anni Novanta), e se non ricordo male da lui comprai “La Cosa” di John Carpenter, con tanto di locandina a colori! Che tempi…

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    1. Dopo la sua scomparsa, sono andata a riguardare la sua filmografia, e ho ritrovato titoli, come questo, che avevo dimenticato, e che all’epoca mi colpirono molto. Ne ho rivisto alcuni, per scrivere le recensioni, e mi hanno trasmesso ancora le emozioni di allora. Credo che sia stato sottoutilizzato come interprete, avrebbe potuto fare molto di più.

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      1. Perfettamente d’accordo! Riusciva a mettere una tale intensità nei suoi ruoli, che ha davvero fatto troppo poco rispetto a quanto avrebbe potuto dare. Solo che non strillava, non esagerava le emozioni, era posato e manteneva il fuoco sotto la cenere, quindi non era molto “hollywoodiano” 😛
        Curiosissimo di vedere quale altre recensioni metterai del mitico Hurt.

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  4. Visto tanto tempo fa ma lo ricordo benissimo, come capita per tutti i film che ti lasciano qualcosa e sanno entrare nell’animo. Bellissimo film che ci mette di fronte ai nostri limiti di fronte al mondo di chi ha qualcosa di diverso da noi.

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