Vittime di guerra (1989)

Considerato a torto un film minore di Brian De Palma e un’eccezione nella filmografia di Michael J. Fox, è una pellicola che meriterebbe di essere rivalutata. Si inserisce nel filone dei film sulla guerra del Vietnam, ma lo fa in modo anomalo, perché per una volta le vittime non sono gli Americani. Il film si propone di mostrare fino a che punto di abiezione si possa arrivare in tempo di guerra, ma anche che è possibile conservare la propria umanità nella follia generale. E lo fa attraverso un episodio di violenza inserito nel contesto bellico, ma che con la guerra ha ben poco a che fare.

Quando il suo migliore amico viene ucciso dai cecchini in un villaggio vietnamita, il sergente Meserve, sfinito dalla guerra, perde la testa. Un po’ per vendetta, un po’ per sfogare la propria rabbia, con i quattro uomini al suo comando, rapisce una ragazza del luogo, che ben presto diventa vittima indifesa di terribili violenze. Picchiata e stuprata dal caporale Clark, un soldato violento e psicopatico, diventa preda dei peggiori istinti del gruppo, anche di chi, come Diaz, è inizialmente contrario, ma finisce per farsi trascinare dalla pressione dei commilitoni.

L’unico che si rifiuta ed è disgustato dal comportamento dei compagni è il soldato Eriksson, l’ultimo arrivato, che si trova in Vietnam solo da tre mesi. Non solo si rifiuta di obbedire agli ordini del sergente Meserve, ma fa anche un tentativo per liberare la ragazza, che purtroppo fallisce. Sarà costretto ad assistere impotente mentre la ragazza viene uccisa barbaramente dai compagni. Eriksson, però, avrà il coraggio di chiedere giustizia per la ragazza, denunciando i colpevoli alla corte marziale.

Vittime di guerra è basato su una storia vera, perciò l’impatto del film è ancora più impressionante. De Palma riesce a creare un film emozionante e coinvolgente, che grida vendetta contro tutte le guerre. Il messaggio di fondo è che la guerra tira fuori il peggio di ognuno, il che non giustifica certo i crimini compiuti dai soldati, ma cerca di far comprendere le circostanze che li hanno causati. E’ significativo che l’unico che si oppone alla violenza sia Eriksson, arrivato da poco in Vietnam, quasi a voler dire che gli altri, logorati da tutto quello che hanno vissuto sulla propria pelle, siano più insensibili all’orrore.

Ed è stata ottima, in questo senso, la scelta di Michael J. Fox per il giovane soldato Eriksson: poteva essere un rischio, visto che Fox era legato a film molto più leggeri, ma il suo viso fresco e l’aspetto per certi versi ingenuo, funzionano benissimo anche in un film serio come questo; anzi, la sua interpretazione è uno dei punti di forza della pellicola. L’attore riesce a rappresentare in modo molto naturale i dilemmi morali con cui il suo personaggio si trova a lottare, e fa risaltare efficacemente il contrasto con gli altri protagonisti della vicenda.

Sean Penn, nei panni del sergente Meserve, ha un ruolo molto complesso e, nonostante il modo abbastanza stereotipato in cui viene presentato nella storia, riesce a rendere tutte le sfaccettature di questo soldato spaventato ed emotivamente distrutto, che deve portare il peso del comando. Vittima a sua volta della propaganda di guerra, ha una visione distorta del nemico, che non riesce più a vedere come un essere umano, ma solo come un pezzo di carne, che non suscita pietà ma unicamente rabbia. Anche John C. Reilly e Leguizamo si calano con intensità nei loro ruoli di soldati al comando di Penn. Temendo di essere esclusi dal gruppo e non avendo la forza di opporsi, i ragazzi prendono parte allo stupro, pur senza troppa convinzione. Entrambi gli attori esprimono in maniera impressionante la paura, la repulsione e i dubbi che li divorano, ma anche la debolezza di fondo che impedisce loro di ribellarsi.

Significativo anche il muro di omertà contro cui Eriksson si scontrerà nella sua ricerca di giustizia. “In guerra si è sempre fatto così” è la risposta che riceve da uno dei quattro commilitoni, quando si rifiuta di partecipare alle violenze. E ancor più grave è la risposta delle alte gerarchie militari a cui si rivolge successivamente, che preferirebbero insabbiare tutto. “Non puoi combattere il sistema.”
Il finale però ci dice che è possibile.

Non c’è quindi volontà di assoluzione da parte del regista, e nemmeno la ricerca di una giustificazione, ma soltanto la constatazione che in tempo di guerra, quando la sopravvivenza è costantemente minacciata, forse non c’è posto per le questioni morali. O forse sì… De Palma evita abilmente le insidie del moralismo, e realizza così un film che non dà risposte, ma pone solo delle domande e ci invita a riflettere.

18 pensieri riguardo “Vittime di guerra (1989)

  1. Un piccolo grande film, ricordo quando uscirono i trailer e lo aspettavamo tutti. Era il periodo in cui della guerra si poteva parlar male, prima che diventasse santa, quindi in videoteca noleggiavamo molti di questi film durissimi, da “Platoon” in poi: abituato a vedere Fox sbarazzino e comico, rimasi colpito dalla sua bravura in questo ruolo durissimo e profondamente drammatico. Davvero uno splendido film che meriterebbe di essere più ricordato oggi 😉

    Piace a 1 persona

    1. In realtà non è neanche contro. E’ più sulla questione dei principi morali, che non dovrebbero mai venire meno, neanche in tempo di guerra. E sulla solita questione se sia giusto obbedire a un ordine ingiusto o immorale…

      "Mi piace"

Lascia un commento