Il bambino col pigiama a righe (2008)

Devo ammettere che ci ho messo parecchio per decidermi a guardare questo film, perché avevo letto il libro e pensavo che sarebbe stato straziante. Un conto è leggere certe cose, un conto è vederle. Invece non me ne sono affatto pentita, al contrario. Il film mi è piaciuto moltissimo e l’ho trovato molto equilibrato nel gestire le suggestioni del romanzo di John Boyne.

La pellicola affronta il tema dell’Olocausto da una prospettiva relativamente nuova e insolita, e mostra un punto di vista molto particolare, che raramente si prende in considerazione in questo tipo di film, cioè lo sguardo ingenuo e ignaro dell’infanzia. Il regista si dimostra molto abile a mediare gli orrori dell’argomento, lavorando con l’ingenuità dei bambini, per esaltare la palese disumanità delle circostanze, senza tuttavia spettacolarizzarle.

Il film racconta la storia dell’amicizia tra due bambini, Bruno e Schmuel, che si trovano da parti opposte di un filo spinato. Siamo a Berlino, nel 1942. Bruno è un bambino tedesco come tanti altri, gioca per strada sfiorato dall’ombra della guerra, senza rendersi conto della realtà che lo circonda. Il padre è un ufficiale nazista che viene promosso a capo di un campo di sterminio, ma per lui è solo suo padre. A seguito del suo nuovo incarico, tutta la famiglia è costretta a lasciare la città per trasferirsi in una residenza di campagna, situata vicino al campo. Bruno deve quindi lasciare i suoi amici e adattarsi alla noiosissima vita di campagna, a cui anche la madre e la sorella faticano ad abituarsi.

Mentre esplora i dintorni della nuova casa, Bruno scopre un passaggio che lo porta fino al vicino campo di sterminio, che lui crede essere una fattoria; ovviamente non sa e non capisce cosa sia, né cosa succeda all’interno di quello strano campo al di là del filo spinato. Qui conosce Shmuel, un bimbo ebreo con cui fa subito amicizia, grazie alla meravigliosa facilità con cui i bambini superano tutti i confini e tutte le differenze, riconoscendosi solo come esseri umani.

Giorno dopo giorno tornerà a trovare il suo nuovo amico, e riuscirà persino a giocare con lui, senza neppure intuire gli orrori che si celano dietro il filo spinato che li divide. Mentre ne La vita è bella era il padre a preservare il bambino dall’orrore, usando il gioco e la fantasia, qui sono i bambini stessi, con la loro ingenuità, a isolarsi dalla realtà, almeno fino a un certo punto. La loro amicizia si sviluppa in un mondo che non conoscono e non possono comprendere: Bruno non capisce perché l’altro è in prigione e trova curioso che indossi il pigiama tutto il giorno, Shmuel, dal canto suo, deve lavorare e sa come funzionano più o meno le cose nel campo, ma non comprende le motivazioni della sua prigionia, né immagina cosa gli riserva il futuro.

Anche i familiari di Bruno, la madre, la sorella e i nonni, sono tenuti all’oscuro di quello che succede nel campo, perché questi erano gli ordini: nessuno doveva sapere. E’ particolarmente significativa una scena in cui il padre di Bruno mostra alla famigliola riunita un filmino, girato a bella posta all’interno del lager, in cui sembra che gli ebrei detenuti al suo interno lavorino e vivano normalmente, e si vedono anche bambini che ridono e giocano, per dare un’idea di serenità idilliaca, assolutamente inesistente nella realtà. Pare che questi filmini fossero davvero girati dai nazisti e usati per la propaganda, in modo da nascondere anche al popolo tedesco la terribile verità.

Questo è l’elemento di novità del film rispetto ad altre pellicole di questo genere: è la storia di una famiglia comune, non di fanatici suprematisti, ma di persone normali che, per ignoranza, ingenuità o cieca obbedienza all’autorità, incarnano quello che Hannah Arendt definiva la “banalità del male”. Non siamo di fronte ai giovani idealisti di Swing kids, che indossavano la divisa trascinati dalla propaganda, o ai sadici ufficiali di Schindler’s list accecati dall’odio e portatori sani di malvagità, ma a quello che, con parola moderna, definiremmo poco più di un impiegato statale. Il padre di Bruno è davvero convinto che il suo compito sia utile al Paese, e che comunque, piaccia o no, vada eseguito. Perché dopo tutto è un soldato, e i soldati in guerra obbediscono. La moglie, orgogliosa della promozione del suo uomo, non si pone troppe domande, e quando comincia a farlo, viene zittita dal marito.

Due sono i punti di forza del film. Uno è il talento recitativo dei protagonisti, soprattutto Asa Butterfield, che ricopre il suo ruolo con la giusta dose di ingenuità e di saggezza, e mostra la progressiva maturazione di un bambino che scopre la verità su suo padre e sulla realtà che lo circonda. Anche Jack Scanlon, che dà il suo tenero volto a Schmuel, non è meno talentuoso e ci spezza il cuore con la sua sofferenza silenziosa e dignitosa.
L’altro pregio del film è il tentativo di mantenere una certa imparzialità: nessun personaggio è del tutto buono o del tutto cattivo, e questo dà più profondità e credibilità alla storia.

Sinceramente non mi sento di fare un’analisi estetica del film; posso dirvi però, se interessa a qualcuno, che non ha avuto un particolare successo al botteghino e ha ottenuto recensioni medio-basse, con pochissimi picchi di entusiasmo. C’è persino chi si è preso la briga di far notare alcune inesattezze storiche.

Detto questo, rimane un film emozionante, commovente senza essere troppo lacrimevole, considerato l’argomento, ma con un finale da brividi, che scuote l’anima nel profondo. Per tutta la durata della storia non viene quasi mai mostrato l’interno del campo, ma l’orrore che il film ci risparmia, durante il suo svolgersi, si concentra nell’epilogo, mostrando in tutta la sua crudeltà la follia di un’eresia aberrante, che non deve essere dimenticata.

19 pensieri riguardo “Il bambino col pigiama a righe (2008)

    1. Ha convogliato tutte le emozioni nella parte finale, che è quella che sconvolge di più, a differenza, per esempio, di Schindler’s list, che le ha spalmate lungo tutta la vicenda. Comunque capita che un film non riesca a prendere lo spettatore, al di là dell’argomento o dell’interpretazione.

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  1. mamma mia quante lacrime
    io lo vidi al liceo durante la giornata della memoria (uno di quei giorni augestiti con attività scelte da gruppi di studenti) e mamma mia quanto ho pianto

    invece ho sempre trovato ipocrita la famiglia tedesca: vedi l’orrore solo quando si tratta di TUO figlio??????

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