Sleepers (1996)

Tratto da una storia vera, narrata in prima persona da chi l’ha vissuta, è un film crudo e diretto, che si propone di raccontare, senza filtri, verità a lungo taciute. I temi fondamentali sono due: la violenza, che genera altra violenza, e la vendetta. A questi si aggiunge l’ombra pesante della pedofilia e dell’abuso di potere. Sleepers è un termine slang con cui vengono definiti i ragazzi del riformatorio, con un probabile futuro di criminalità.

La storia parte proprio da un gruppetto di quattro ragazzi che passano le giornate tra i vicoli di Hell’s Kitchen, tutti con situazioni familiari difficili e facili prede per la malavita locale. Un brutto giorno commettono, quasi per scherzo, quella che oggi chiameremmo una ragazzata, che purtroppo ha conseguenze gravi, e costa ad ognuno di loro la condanna al riformatorio. La pena sarà molto più dura di quanto si possa immaginare e segnerà profondamente ognuno di loro, cambiando per sempre le loro vite.

Molti anni dopo, quando ognuno ha preso strade diverse, la vita li farà rincontrare e darà loro l’occasione per vendicarsi e fare giustizia. Anche perché uno di loro è diventato nel frattempo sostituto procuratore…
Il film gioca molto con le emozioni dello spettatore, nella prima parte facendoci assistere direttamente agli abusi e alle violenze a cui vengono sottoposti i protagonisti, e nella seconda parte rendendoci partecipi di una ingegnosa vendetta che ha il sapore della giustizia.

Barry Levinson ha riunito alcuni dei migliori attori di Hollywood, mettendo insieme un cast all stars che comprende Kevin Bacon, Robert De Niro, Jason Patric, Brad Pitt, Minnie Driver, Dustin Hoffman e persino il nostro Vittorio Gassman. Eppure la parte più intensa del film è la prima, in cui gli interpreti sono adolescenti per lo più sconosciuti, fra cui si distingue solo Brad Renfro, che aveva già recitato ne Il cliente, e che probabilmente avrebbe avuto un brillante futuro, se non fosse prematuramente scomparso.

L’inizio del film è molto ben raccontato, con grande attenzione ai dettagli. Levinson cerca di presentare allo spettatore i suoi personaggi principali attraverso la voce fuori campo di uno di loro, l’autore del romanzo autobiografico su cui il film si basa, che racconta come ha vissuto la sua infanzia a Hell’s Kitchen. Con una splendida fotografia e l’atmosfera accattivante della New York degli anni ’60, Levinson ci guida nella loro realtà quotidiana, vissuta tra la parrocchia, dove il prete cerca di sostituirsi a genitori assenti, e i piccoli criminali locali, che cercano di sfruttare il loro bisogno di guadagnare qualche soldo.

Quando si apre la parte centrale del film, quella relativa agli orrori del riformatorio, Levinson usa ogni mezzo per rappresentarne senza filtri la misera realtà. La luce si spegne su questi ragazzi, l’atmosfera si fa cupa e grigia, e, pur senza mostrare esplicitamente quello che accade nel seminterrato del riformatorio, il regista riesce a darne un quadro più che comprensibile; con una lunga carrellata, in cui la macchina da presa si ritira lentamente attraverso un corridoio lungo e buio, ci dà tangibilmente l’idea degli orrori reiterati nel tempo e della solitudine di questi ragazzi abbandonati, le cui richieste di aiuto rimangono inascoltate. La sequenza è talmente bella, supportata dalle musiche di John Williams, da metterci ancora più a disagio.

Da questo punto in poi si apre la seconda parte della storia, dopo un salto temporale che non ci viene mostrato, in cui i ragazzi sono cresciuti e hanno preso strade diverse: due di loro, segnati dall’esperienza del riformatorio, sono diventati piccoli criminali di strada, uno ha scelto di servire la giustizia e un altro è diventato giornalista. Il destino offrirà loro l’occasione per riparare i torti subiti, e tutti insieme decideranno di collaborare per attuare una sublime vendetta. Sarà anche un modo per ridare nuova vita alla loro amicizia, sfiorita nel tempo e macchiata in modo indelebile da un passato che nessuno vuole ricordare.

Questa seconda parte del film, purtroppo, fatica a ingranare e perde molta dell’energia iniziale. Forse è dovuto anche al cambio degli attori, che, da adulti, fatichiamo a identificare con i ragazzi per la cui sorte abbiamo trepidato fino a poco prima. Per quanto la prima parte del film è accurata e avvolta da un’atmosfera intensa e suggestiva, per quanto questa seconda parte, che dovrebbe celebrare il trionfo della giustizia, è lenta, aggrovigliata e poco incisiva, e il processo che si svolge alla fine della storia si presenta come noioso e un po’ prolisso, pur vivacizzato dalla pungente caratterizzazione dell’avvocato inetto e alcoolizzato, fatta da Dustin Hoffman.

Hoffman brilla, tra le altre stelle, insieme a Kevin Bacon, mai così perverso, e De Niro che, in abito talare, riesce a dare i brividi. Brad Pitt e Jason Patric danno il loro contributo e Gassman è insuperabile nel tratteggiare il vecchio boss di quartiere, facendone non la solita macchietta spaghetti e mandolino, ma una figura dignitosa, che incute rispetto prima ancora che paura. Un cast di prima grandezza, che tuttavia non arriva a emozionare quanto i quattro ragazzini che abbiamo lasciato tra le mura del riformatorio. Colpa anche della sceneggiatura, che perde di smalto, finendo per rendere anonimi i personaggi. O forse colpa dei quattro adolescenti che ci hanno toccato nel profondo.
Sleepers è comunque un film intenso e coinvolgente, che è difficile ignorare, una di quelle pellicole che, una volta viste, ci restano dentro e non si fanno dimenticare. Un film non per tutti, ma che tutti dovrebbero vedere.

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