Sotto corte marziale (2002)

Originale commistione di generi, il film è un misto di guerra, spionaggio e legal thriller, forse poco credibile in alcuni punti, ma nel complesso emozionante e coinvolgente. È ambientato nell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale, in un campo di prigionia tedesco, dove alcuni prigionieri americani chiedono e ottengono il permesso di allestire una corte marziale per processare un ufficiale americano accusato di omicidio.

Nonostante l’ambientazione, non è però un film di guerra, ma un thriller psicologico sul coraggio morale, sull’obbedienza militare e sulla giustizia, sulla gerarchia dei beni morali e sul tema, spesso nascosto, del razzismo delle forze armate statunitensi. Il titolo originale, Hart’s war, fa riferimento ad uno dei personaggi principali, il tenente Thomas Hart, che essendo figlio di un senatore degli Stati Uniti, sembra destinato a un ruolo facile e non troppo rischioso durante gli ultimi giorni di guerra, un sicuro lavoro d’ufficio lontano dai campi di battaglia.

Tutto si sarebbe aspettato, dunque, tranne che di essere catturato e mandato in un campo di prigionia, e di certo non avrebbe mai pensato di dover imbastire un processo e difendere un prigioniero di guerra nero, falsamente accusato di omicidio. Lui, giovane studente di legge non ancora laureato, si trova ad avere nelle sue mani la vita di un innocente, che verrà giustiziato dai tedeschi se non riuscirà a provare la sua innocenza.

Ma in questo film niente è come sembra: i nemici sono molto meno cattivi di quanto ci si aspetterebbe, mentre i buoni sono meno buoni di quanto vogliano far credere; le vittime si rivelano spie e i vigliacchi si scoprono eroi, ma tutti alla fine dimostrano di avere un codice d’onore che travolge e supera tutte le differenze, rivelando l’essenza stessa della nostra umanità, celata sotto le apparenti diversità di razza, lingua o nazionalità.

Il regista Gregory Hoblit cerca di affrontare il problema del razzismo all’interno dell’esercito americano, un argomento che è sempre stato trascurato nella maggior parte dei film di guerra. Tuttavia, manca il coraggio di andare fino in fondo e sembra quasi che il razzismo sia stato aggiunto solo per aiutare la trama, e non sia il tema principale del film. Indubbiamente la pellicola è un promemoria imbarazzante che ci ricorda come, solo pochi anni fa, molti soldati americani avrebbero sacrificato i loro compatrioti neri, per salvarsi la vita.

Tuttavia il finale, che non rivelo, non resiste alla tentazione di glorificare come sempre Bruce Willis, che in extremis redime la propria coscienza con un atto di eroismo non da poco. La sensazione è che si sia voluto mettere troppa carne al fuoco, costruendo un film che è un miscuglio non omogeneo di generi e stili, senza riuscire a decidere dove andare a parare. Inizia come un classico dramma di guerra, con l’atmosfera giusta e un paio di scene di combattimenti che hanno lo scopo di creare un po’ di azione, in un film che si nutre quasi esclusivamente di attesa.

Poi ci si impantana in un melodramma processuale, decisamente poco credibile, considerando quanto poco fossero flessibili e comprensivi i nazisti. E alla fine si arriva a una versione glorificata de La grande fuga, non senza pentimento ed eroico sacrificio finale. Per quanto riguarda gli attori, Colin Farrell si destreggia nel ruolo del tenente Hart, mostrando la sua trasformazione da giovane spensierato, ansioso di imboscarsi, a militare in missione pronto ad assumersi le proprie responsabilità; Bruce Willis inserisce il pilota automatico e dà vita al colonnello McNamara, come una figura in bilico tra bene e male, che diventa sempre meno positiva man mano che il film procede, salvo poi sorprenderci (si fa per dire) sul finale.

La vera sorpresa viene dai ruoli secondari. L’attore rumeno Marcel Iureș trasforma il colonnello nazista Visser in una persona in carne e ossa, che sembra avere un senso di giustizia persino più grande di McNamara. Cole Hauser si diverte chiaramente a interpretare il razzista Vic Bedford. Ma la scena viene letteralmente rubata da Terrence Howard, che si distingue nei panni del tenente Lincoln Scott, e riesce a dipingere un quadro esauriente della difficile situazione di un afroamericano nell’esercito. Howard dà a Scott una dignità e una sincerità che catturano e arrivano al cuore.

Nel complesso è un film che vale la pena di guardare, sospendendo qualunque giudizio sulla credibilità dei fatti narrati, perché alla fine non scontenta nessuno e solleva molte questioni morali a cui sarebbe interessante rispondere, regalando anche una buona dose di suspense e un finale non del tutto scontato.

43 pensieri riguardo “Sotto corte marziale (2002)

      1. Sì 🙏 …pensa che ho appena saputo che i miei vicini di casa hanno preso il Covid, entrambi vaccinati, e il marito sta così male che ha la bombola dell’ossigeno, eppure ha intorno ai 40 anni eh… e meno male che la propaganda vaccinale ci dice “il vaccino vi farà prendere il covid in maniera lieve”. Ecco… la verità piano piano verrà fuori…

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