Il miglio verde (1999)

Per lo spettatore comune, il nome di Stephen King è da sempre legato a film horror, spaventosi come Shining o Carrie, o inquietanti come Secret window. Ma esiste una categoria di pellicole splendide, tratte da romanzi di King, che sarebbero difficilmente catalogabili in un unico genere, come ad esempio Le ali della libertà o Stand by me. Il miglio verde rientra in questo gruppo, e come gli altri film, è caratterizzato da un accurato studio psicologico dei personaggi e da una trama suggestiva e articolata che contiene una o più componenti di mistero.

Il miglio verde che dà il titolo al film è il corridoio che separa i detenuti del carcere di Cold Mountain dalla sedia elettrica che li attende per l’esecuzione capitale. Il film è ambientato quasi interamente all’interno del carcere, e racconta la storia quotidiana dei prigionieri in attesa di morire e delle guardie che li custodiscono, dividendo con loro le proprie giornate. Tra le guardie, così come tra i detenuti, c’è un campionario assortito di varia umanità, c’è compassione ed empatia, da parte di alcuni, ma c’è anche malvagità e crudeltà gratuita, e il film approfondisce non solo i singoli caratteri, ma anche le interazioni tra i personaggi.

Su tutti, guardie e prigionieri, incombe come un fantasma l’ombra della sedia elettrica, con una presenza che in alcuni momenti si fa più che mai tangibile. In questo clima di dolore e di rassegnazione, cui si cerca di far fronte come si può, si inserisce la magia del sovrannaturale, che sovvertirà per un attimo l’ordine delle cose, cambiando per sempre l’esistenza di tutti. Un miracolo di amore e di vita, nel luogo più vicino all’inferno in terra. Non voglio dire più di tanto, perché chi non ha ancora visto questa pellicola deve poterne godere tutto l’incanto, e sarà difficile non esserne toccati nel profondo.
Un film meraviglioso e terribile al tempo stesso, con sequenze di una crudeltà inarrivabile, affiancate ad altre di pura poesia. Un film che ci mostra a quali livelli di malvagità e vigliaccheria può arrivare l’essere umano, quando dimentica la pietà, e nello stesso tempo quanto sia sbagliato giudicare, e soprattutto condannare, dalle apparenze. E ci dimostra anche come i miracoli, a volte, possono accadere intorno a noi, senza neppure che ce ne accorgiamo. Tante le sequenze memorabili, alcune ironiche, persino divertenti, altre drammatiche e sconvolgenti, tutte comunque coinvolgenti. Chi ha visto il film non potrà non ricordare con un sorriso Mr. Jingles.

Frank Darabont aveva esordito alla regia con Le ali della libertà, uno dei migliori film degli anni ’90, perciò con questa pellicola si avventura in un territorio familiare, perché anche questa storia si svolge in una prigione e ruota attorno a un’amicizia speciale tra un bianco e un nero. Le similitudini però finiscono qui, anche se in entrambi i film il cast è di fondamentale importanza. L’unico nome di sicuro richiamo è Tom Hanks, ed è perfetto per il ruolo del protagonista narratore, attraverso i cui occhi vediamo la storia. Il suo racconto inizia e termina il film, abbracciando l’intera vicenda e dandogli la consistenza di un racconto reale.

A lui si affiancano comprimari più che dignitosi, anche se non molto conosciuti: Doug Hutchison interpreta in modo convincente il ruolo più antipatico, quello della guardia sadica, ed è bravissimo a farsi odiare. Sam Rockwell mostra le sue doti espressive nei panni di un criminale completamente squilibrato, mentre James Cromwell interpreta il direttore della prigione, vestendo come sempre il ruolo in un modo affascinante e dignitoso. Persino David Morse, che di solito recita un po’ in sordina, qui riesce a raggiungere una certa intensità.

Ci sono anche bellissimi ruoli secondari per il veterano Jeffrey DeMunn, che aveva già lavorato con Darabont e ancora lavorerà sia in The Majestic che nel successivo The mist, e per il caratterista Harry Dean Stanton. Unico ruolo femminile di spicco per Patricia Clarkson, cameo di lusso nel ruolo della moglie del direttore della prigione.

La cosa più impressionante, tuttavia, è la performance di Michael Clarke Duncan, che si muove nei panni di John Coffey e fa soffrire il pubblico con lui. Prima di allora pochi lo conoscevano, se non per un ruolo minore in Armageddon, a fianco di Bruce Willis, ma dopo questo film, il pubblico difficilmente dimenticherà il suo viso e le emozioni che è riuscito a trasmettere con la sua interpretazione, che gli è valsa la candidatura al premio Oscar e al Golden Globe. Anche se il ruolo di un gigante buono gli calzava a pennello, in seguito apparirà più spesso come la nemesi di duri eroi d’azione, fino alla prematura scomparsa per un attacco cardiaco.

Non tutta la critica ha apprezzato il film, soprattutto per la sua lunghezza, ma molti hanno lodato la regia di Darabont, che si presta perfettamente alla trasposizione del romanzo, facendone risaltare tutte le emozioni. Il regista infatti si concentra più sui personaggi che sulla trama, dando ad ognuno il giusto spazio per presentarsi e svilupparsi, e li ritrae in modo eccellente, senza che nessuno prevalga sugli altri. Senza cercare soluzioni visive ad effetto, il regista indugia sui primi piani, rendendo ogni singolo personaggio, di volta in volta, protagonista della scena. Anche se qualcuno, necessariamente, ha più spazio rispetto ad altri nella storia, tutti ugualmente contribuiscono allo sviluppo della vicenda.

Alla fine si perdona la durata forse eccessiva e anche il simbolismo a volte un po’ forzato, carico di connotazioni religiose, e si tralascia pure una certa prevedibilità della trama, perché l’impatto emotivo di questa storia sovrannaturale è talmente grande che si è disposti a perdonargli qualunque difetto.
Un film che è un’unica grande emozione, dall’inizio fino all’ultimo fotogramma.

49 pensieri riguardo “Il miglio verde (1999)

          1. Famosissimo, il quadro. L’autore un po’ meno. Il quadro è famoso perché è spesso rappresentato in libri di psicologia o come metafora, appunto, dell’incubo.

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          2. Ho visto il suo pezzo. e chiesto di chi era il quadro. lui mi ha risposto e detto che era famoso, sul famoso ho detto che la Gioconda è famosa. Lui ha detto di no che anche questo è famoso. Ed ho chiesto a te…
            Non è famoso come la Gioconda comunque

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