Il mercante di Venezia (2004)

Il Mercante di Venezia è un’opera di Shakespeare che può essere definita una tragicommedia, perché, pur essendo strutturata come una commedia, presenta molti elementi tragici. E’ stata trasposta sullo schermo da Michael Radford in tutta la sua grandiosità, pur con alcune modifiche rispetto all’originale, e il film che ne deriva ha un forte impatto visivo, perché il regista è riuscito a rappresentare molto realisticamente gli scenari che fanno da sfondo alla vicenda.

E’ molto accurata la ricostruzione storica, fin nei particolari, sempre molto precisi, che danno notevole incisività, anche grazie all’ambientazione, in alcune parti davvero sontuosa. La storia è abbastanza semplice, forse una delle meno complesse tra le opere del Bardo, a parte ovviamente il travestimento di Porzia, e il suo benevolo inganno.

Siamo a Venezia, dove il giovane Bassanio, innamorato della giovane ereditiera Porzia, chiede in prestito all’amico Antonio 3000 ducati per poterla corteggiare. Antonio, che è ricco ma ha tutti i suoi soldi investiti, ed è al momento a corto di liquidità, chiede il denaro in prestito all’ebreo Shylock, suo nemico disprezzato da sempre. Antonio infatti è molto legato a Bassanio, da qualcosa di più di un’amicizia, e per non deluderlo è disposto a compromettersi con l’usuraio.

Shylock accetta di prestare il suo denaro, mettendo una condizione: se entro tre mesi Antonio non restituirà i soldi, dovrà pagare con una libbra di carne prelevata dal suo corpo. Quando, allo scadere del debito, Antonio non potrà pagare, l’usuraio sarà ben felice di far valere la sua condizione, chiedendo la libbra di carne che gli era stata promessa, con l’intenzione di uccidere Antonio e potersi finalmente vendicare di tutte le umiliazioni subite da lui.

Ma la saggia Porzia, con l’aiuto della serva Nerissa, riuscirà con uno stratagemma a capovolgere la situazione, salvando la vita di Antonio. Shylock uscirà sconfitto dalla sua stessa trappola, e in più sarà costretto a convertirsi al cristianesimo.

Il film di Radford ha avuto un notevole successo di critica, sia per l’ambientazione raffinata tra meravigliose ville palladiane e palazzi storici del Veneto, sia per i suggestivi scorci veneziani che fanno da sfondo alla vicenda, sia per le maestose interpretazioni di Al Pacino e Jeremy Irons, rispettivamente nel ruolo di Shylock e Antonio.

Il regista ha dimostrato anche una certa sensibilità nel narrare la vicenda, mantenendola fedele all’originale, pur con qualche libertà d’interpretazione: non lascia dubbi sul sentimento che Antonio prova per Bassanio, mostra la figlia di Shylock combattuta tra l’amore per il cristiano Lorenzo e il senso di colpa nei confronti del padre, e aggiunge un tocco di sottile comicità nella scena degli scrigni.

Alla fine non prende le parti di nessuno, perché i suoi personaggi non sono del tutto buoni né del tutto cattivi; sono solo uomini, con le loro contraddizioni e le loro debolezze, così come li aveva creati Shakespeare. Quindi il film non ha solo una notevole riuscita visiva, ma anche emotiva, sicuramente alimentata dalle intense prove attoriali di Irons, consumato silenziosamente dalla malinconia per la passione non ricambiata che nutre per Bassanio, e di Al Pacino che riesce a commuoverci nel suo monologo sui pregiudizi verso gli ebrei.

Ma c’è un altro tema caro all’autore, che Radford riprende e sviluppa, cioè il rapporto tra giustizia e clemenza, oggetto del famoso discorso tenuto da Porzia travestita da avvocato. E anche in questo caso l’interpretazione non delude le attese, perché l’attrice Lynn Collins riesce a trasmettere con forza il messaggio della clemenza che è ancora più importante della giustizia, perché se la giustizia è umana, la misericordia è divina.

Chiaramente è stato molto difficile per Radford adattare per il grande schermo un’opera scritta dal maestro della letteratura inglese alla fine del ‘500, e la scelta di mantenere i dialoghi originali non ha sicuramente avvantaggiato il grande pubblico nella comprensione del film. Forse anche per questo la pellicola è stato un clamoroso insuccesso al botteghino.

Nonostante questo mi sento di consigliarne la visione, sicuramente a chi ama Shakespeare, a chi ha amato l’Hamlet di Branagh, ma in generale a chi ama il grande cinema, perché Al Pacino e Jeremy Irons meritano sempre di essere visti, forse mai come in questo caso. E i nostri doppiatori fanno il resto.

25 pensieri riguardo “Il mercante di Venezia (2004)

      1. Non stravedo per Giannini doppiatore ma non ho problemi seri, invece con Al Pacino non riesco a godermi i suoi ruoli, semplicemente perché mi sembra che li interpreti tutti uguali: è sempre Pacino che interpreta Pacino con l’intenzione di mostrare a tutti quanto sia Pacino 😀
        E’ un mio problema, l’auto-interpretazione funziona e tanti grandi nomi la usano, ma è raro che io riesca a godermi un film con Al.

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      2. Secondo me tutti gli attori sono inevitabilmente sempre sé stessi (come d’altronde tutti noi comuni mortali), anche se emotivamente immersi in personaggi di volta in volta diversi: la bravura è nella loro arte di fingere veritiero il reale in quel momento recitato: dramma, commedia, burla, farsa che sia; la bravura dello spettatore è di vivere quella specifica finzione priva di retrospettività sull’attore. Nel doppiaggio a me disturba non il doppiatore in sé stesso, che naturalmente deve essere all’altezza dell’attore doppiato, ma il sentire su più doppiati l’unica voce di uno stesso doppiatore.

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      3. Hai sicuramente ragione sugli attori, che alla fine portano se stessi in ogni ruolo che interpretano, però ce ne sono alcuni che sanno traformarsi completamente, passando dal dramma alla commedia, altri che invece finiscono per scegliere sempre ruoli simili. Ad esempio quando Robin Williams interpretò l’insegnante de L’attimo fuggente, molti critici lo trovarono inadatto al ruolo, invece secondo me seppe disegnare meravigliosamente il personaggio, facendo dimenticare completamente altri ruoli comici fatti in precedenza.

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