Il ladro (1956)

Questo film può sembrare anomalo nella produzione di Hitchcock, e in parte lo è. A cominciare dal titolo, che nell’originale svela in pratica la trama: The wrong man, ovvero l’uomo sbagliato, ci racconta, infatti, la storia di un uomo innocente che viene erroneamente scambiato per un rapinatore. Considerando quanto Hitchcock fosse riservato sulle sue trame, e quanto per lui fosse importante catturare l’attenzione dello spettatore con la suspense, sembra strana la scelta di un titolo così esplicito. Ma non dobbiamo farci trarre in inganno dall’apparente semplicità della storia.

Il regista stesso spiega al suo pubblico, nei primi fotogrammi, che quella che sta per vedere è una storia vera, fin nei minimi particolari. E già questo contribuisce ad accrescere il coinvolgimento nella vicenda del protagonista, un semplice musicista che conduce una vita relativamente serena, con una moglie e due figli, e tutti i piccoli grandi problemi finanziari della tipica famiglia americana, alle prese con i mali della classe media. Niente che non si possa risolvere con un piccolo prestito.

Quando l’uomo si reca presso l’assicurazione per ottenere un anticipo sulla sua polizza vita, viene riconosciuto da alcune impiegate come l’uomo che qualche tempo prima aveva rapinato l’agenzia. E da qui la sua vita diventa un incubo: per quanto proclami la sua innocenza e l’ispettore incaricato del caso lo rassicuri che, se è innocente, non ha nulla da temere, la sua situazione continua a peggiorare attimo dopo attimo.

A partire dall’identificazione errata, dovuta ad una somiglianza con il vero colpevole e al deterioramento dei ricordi dei testimoni oculari, si accumulano prove circostanziali contro di lui, creando un vortice di sospetti da cui non gli sarà facile liberarsi. La mano felice di Hitchcock crea un film coinvolgente fin dall’inizio, unendo i meccanismi del thriller alle procedure di polizia, che all’epoca erano afflitte da svariate carenze, tra cui una routine antiquata e farraginosa; ne risulta uno spettacolo esasperante e teso, anche perché lo spettatore, a differenza della polizia, non ha alcun dubbio fin da subito sull’innocenza del protagonista, e soffre quindi insieme a lui per l’ostilità e la diffidenza che lo circondano.

Va detto che il film non è molto amato dai fan del regista britannico, forse perché, come ho detto all’inizio, è anomalo nella sua filmografia, ed è l’unico tratto da un fatto di cronaca, quindi non frutto della sua prolifica fantasia narrativa. Un film disadorno, quasi un documentario, asciutto ed essenziale. Eppure, a guardar bene, i temi cari a Hitchcock ci sono. Il tema principale del film è chiaramente quello dell’uomo innocente che non riesce a dimostrare la propria innocenza, come in Io confesso, ma non è l’unico.

C’è il tema del doppio, tanto caro al regista, perché il protagonista ha un sosia, come ne La donna che visse due volte, e c’è soprattutto il tema della degradazione di un individuo di fronte ai meccanismi della giustizia. Nel film infatti vediamo il protagonista umiliato dall’arresto e poi dal carcere e dal successivo processo: la sua innocenza non basta come scudo, perché in lui si fa strada la vergogna di fronte alle accuse, anche se sa che sono ingiuste e infondate. Vergogna che tra l’altro coinvolge la moglie, portandola al crollo nervoso. Il tema dell’umiliazione e della vergogna era già stato trattato da Hitchcock, tre anni prima, in Io confesso, e verrà ripreso in Frenzy.

Presente un po’ ovunque nella vicenda è anche il richiamo alla fede, quando il regista ci mostra il protagonista disperato che prega o viene esortato a farlo, per superare i momenti più difficili, e infine il tema del caso che domina la vita degli uomini e ne tira le fila, senza che si possa controllarlo. Alla fine infatti sarà proprio il caso a risolvere la situazione e a salvare l’innocente, che era del tutto impotente davanti alla piega presa dagli eventi.

La scelta di Henry Fonda come protagonista si rivela perfetta, per la sua faccia pulita da persona onesta, che gli permette di interpretare l’uomo comune, in cui lo spettatore non ha difficoltà ad immedesimarsi. Fonda invece dichiarò di non essersi sentito a suo agio, abituato com’era a interpretare personaggi senza macchia. Più complesso il personaggio della moglie, per cui Hitchcock sceglie Vera Miles, una delle sue bionde preferite, dandole anche molto risalto nella vicenda, e un approfondimento psicologico che il pubblico forse non seppe apprezzare.

Il film non ebbe infatti un gran riscontro al botteghino, forse anche per la scelta del bianco e nero, che invece contribuisce notevolmente a creare l’atmosfera giusta. Nel complesso è un film che non va sottovalutato perché, anche se atipico nel panorama dei capolavori di Hitchcock e fuori dai suoi schemi, rimane una storia avvincente e coinvolgente, un’ottima prova di attori, e forse una delle sue pellicole più riuscite nel delineare la psicologia dei personaggi. Un film da riscoprire, che merita sicuramente una visione.

38 pensieri riguardo “Il ladro (1956)

  1. Fuori tema, ma in tema con verità e giustizia, un siciliano negli anni ’60 per indizi fu condannato all’ergastolo con l’accusa di avere ucciso il fratello e occultatone il cadavere: 12 anni dopo il fratello morto fu ritrovato vivo, in ottimo stato di salute, e tranquillo operatore di un’azienda urbana per la raccolta dei rifiuti.

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    1. Non sei fuori tema, purtroppo le ingiustizie capitano, a volte terribili. E credo che non ci sia niente di più angosciante che sapere di essere innocente e non poter provare la propria innocenza.

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