Il buio oltre la siepe (1962)

Favoloso bianco e nero come si facevano una volta, dove le emozioni erano scolpite sui volti dal chiaroscuro, ed affidate spesso solo a uno sguardo o ad un semplice gesto. Antesignano di tutti i film processuali, è un classico senza età, inviolato dal tempo, inimitabile, di cui mi auguro davvero di non dover mai vedere un remake.

Siamo in una tranquilla cittadina dell’Alabama, nel 1932, improvvisamente sconvolta da una gravissimo fatto di violenza: una ragazza del luogo viene brutalmente picchiata e stuprata, e dell’aggressione è accusato un ragazzo nero, Tom Robinson, che però si dichiara innocente. La sua difesa è affidata ad uno stimato avvocato del luogo, Atticus Finch, uomo di saldi principi morali e padre amorevole di due bambini, che cerca di crescere da solo dopo la morte della moglie.

Non mi dilungo più di tanto sulla trama perché il romanzo omonimo di Harper Lee, da cui il film è tratto è famosissimo. Sono molti i temi trattati nel film, razzismo e pregiudizio, ma anche l’ipocrisia e la violenza, come pure la complessità di spiegare ai bambini il mondo degli adulti e la difficoltà di crescere. La magia del film, che ne fa un capolavoro ancora oggi attuale, è la capacità di mostrare argomenti crudi, come lo stupro, la violenza e la morte, attraverso gli occhi di un bambino.

La storia è narrata dalla voce fuori campo di Scout, la figlia di Atticus, ormai adulta, che ricorda questo episodio della sua infanzia e come avesse cambiato per sempre il suo modo di vedere le cose, aiutandola a passare dall’incoscienza dell’infanzia ad una più consapevole maturità. Ed è proprio Scout che, con la sua voce ingenua a sincera, ci mostra le contraddizioni, il conformismo e l’ignoranza, ma anche la profonda povertà, della provincia americana degli anni ’30, vista attraverso gli occhi dei bambini, che non capiscono fino in fondo, ma giudicano con una schiettezza a volte disarmante.

E’ una splendida storia di formazione, che racconta le difficoltà della crescita, la paura del diverso e dell’ignoto, e di come a volte i più piccoli siano capaci di vedere quello che a noi rimane invisibile. Jeremy, il figlio più grandicello, è già abbastanza indipendente, mentre la sorellina deve ancora maturare; cresciuta nell’ammirazione del padre, cerca di guardare il mondo con i suoi occhi, giudicando persone e situazioni con la saggezza paterna.

Meravigliosa la figura del padre, saggio e misurato, che sa sempre trovare le parole giuste per spiegare anche le cose più difficili, che sa essere deciso e severo quando serve, ma sempre senza alzare la voce, senza mai prevaricare. Intenso e commovente il dialogo continuo tra padre e figlia, che aiuta il primo a comprendere e la seconda a crescere: attraverso le continue domande di Scout, a cui il padre cerca di rispondere con chiarezza ma anche con la delicatezza necessaria, entrambi fanno luce sulla realtà che si manifesta intorno a loro, e trovano anche il modo di metabolizzare insieme il dolore per l’assenza della madre. Ed è toccante la sensibilità con cui il padre spiega alla bambina i fatti della vita usando sempre un linguaggio che possa comprendere.

Il tema centrale del film è il razzismo, rappresentato con crudo realismo: gli atteggiamenti della gente, la dichiarata ostilità nei confronti di Tom, colpevole perfetto in quanto nero, e verso Atticus che lo difende, sono mostrati senza filtri, e agli occhi di Scout, che osserva e descrive tutto narrando la storia, sono un’ingiustizia intollerabile. Convinta da subito che il padre sia dalla parte giusta, lo sostiene senza remore, e lo aiuta ad evitare il linciaggio di Tom, affrontando con coraggio e incoscienza la folla radunatasi, che rimane spiazzata e si vergogna di fronte alla ragazzina. Ad oggi, resta una delle più forti sequenze cinematografiche contro il razzismo.

C’è anche il tema della diversità, incarnata dalla figura misteriosa del vicino di casa, temuta dai bambini come mostruosa, e che alla fine si rivela non solo essere buona, ma migliore delle persone giudicate “normali”. Questa specie di gigante buono, che non parla mai ma si muove e ansima con aspetto minaccioso, alla fine dimostra di avere un cuore gentile, e di saper comprendere la differenza tra bene e male.

Il titolo originale del romanzo, come del film, è To kill a Mockingbird ovvero Uccidere un usignolo, che si riferisce chiaramente all’uccisione di Tom, un’azione crudele e immotivata come sarebbe l’uccisione di un uccellino indifeso che non fa del male a nessuno. Nel film Atticus racconta ai bambini che quando il padre da piccolo gli aveva regalato un fucile, gli aveva raccomandato di divertirsi a sparare ai barattoli, ma di non sparare mai ad un usignolo, perché è peccato uccidere un uccellino che non fa niente di male e ci regala il suo cinguettio.

Il titolo italiano invece fa riferimento alla siepe che separa la casa dei due bambini da quella del vicino Boo: il buio oltre la siepe rappresenta tutto ciò che temiamo perché ignoto, quello che sembra spaventoso solo perché non lo conosciamo, in altre parole la paura che deriva dal pregiudizio. Atticus insegna alla piccola Scout, che spesso ricorre alle mani per appianare le divergenze con i coetanei, che non si possono comprendere gli altri, se non si cerca di mettersi nei loro panni, e il pregiudizio è spesso quello che ci impedisce di capire il punto di vista altrui.

Naturalmente è anche un film processuale, in cui le scene in tribunale hanno un ruolo importantissimo, non solo per la vicenda di Tom ma anche per fare un quadro del profondo sud dell’America, in quel preciso momento storico: significativa la divisione netta del pubblico in aula, con i neri tutti seduti in balconata, e la platea riservata solo ai bianchi così come, neanche a dirlo, i banchi della giuria.

L’atmosfera rustica, ma minacciosa, di Maycomb negli anni Trenta è perfettamente ricostruita poiché il villaggio non è stato filmato sul posto, ma è stato ricreato all’interno degli studi della Universal, e tutto il film è accompagnato dalle musiche di Elmer Bernstein che sottolineano l’atmosfera commovente e malinconica.

Il film è giustamente entrato nella storia del cinema. Gregory Peck vinse l’Oscar come miglior attore protagonista, mentre la piccola attrice che interpretava Scout, Mary Badham, se lo vide portar via dalla protagonista di Anna dei miracoli, Patty Duke, anche lei all’epoca poco più di una bambina. Nel ruolo del povero Boo, senza neanche una battuta da copione, l’allora esordiente Robert Duvall che ad oggi è l’unico membro del cast adulto ancora vivente.

L’attore che interpretava Tom Robinson scoppiò spontaneamente a piangere durante la scena della testimonianza in tribunale, e Peck raccontò di aver dovuto distogliere lo sguardo dal suo, per non commuoversi a sua volta. La piccola Mary Badham divenne amica di Gregory Peck, e lo frequentò fino alla sua morte, chiamandolo sempre affettuosamente Atticus.

Il sentimento che prevale nel film è quello del coraggio di difendere gli ideali di giustizia e di uguaglianza, anche a costo di sfidare le convezioni. La caparbia e appassionata presa di posizione di Atticus Finch ne ha fatto una figura mitica nel sistema legale americano, che rappresenta l’avvocato progressista e illuminato capace di difendere i propri ideali a qualunque costo. In questa accezione è stato a volte citato all’interno del serial Law and order.

Tuttavia il film cerca anche di mostrare la percezione del mondo di un bambino e la rappresenta attraverso lunghe sequenze dedicate ad eventi apparentemente irrilevanti; in questo modo rallenta il ritmo e sacrifica forse la spettacolarità, ma nel complesso rimane un’opera notevole e impressionante proprio per l’intensità che riesce a raggiungere, in modo semplice e lineare. Un film che, ancora oggi, merita di essere visto.

22 pensieri riguardo “Il buio oltre la siepe (1962)

  1. Concordo con te che “Ad oggi, resta una delle più forti sequenze cinematografiche contro il razzismo.” La prima volta che lo vidi ero piccina ma mi ha lasciato un impronta indelebile. Complimenti per la recensione 💖

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